«Ho avuto un rene nuovo nel 1963 quando, non c'erano grandi possibilità per ricevere un trapianto. Oggi, dopo quarantaquattro anni, conduco una vita normale, con l'organo che generosamente mi fu donato». È il racconto del professor Robin Eady, docente di dermatologia dell'Università di Londra, intervenuto alla prima Conferenza Internazionale di nefrologia, «Sopravvivere non è abbastanza. Qualità della vita nella malattia renale cronica». La conferenza, tenutasi a Napoli, è stata organizzata dal professor Natale Gaspare De Santo del Centro Interdipartimentale di ricerca clinica del II Policlinico di Napoli, dalla psicologa, Rosa Maria De Santo, dal dottor Antonio Gargano, dalla Seconda Università di Napoli e dall'Istituto Mario Negri di Bergamo. Hanno partecipato docenti di varie università e ospedali italiani ed europei.
Il più cercato, nella sua duplice veste di testimone e di docente in dermatologia, è stato sicuramente il professor Eady, che «ha fatto della normalità, l'elisir di lunga vita», come ha detto uno dei partecipanti alla conferenza. «Sono la testimonianza vivente che il trapianto è vita - ha detto Eady - e, alla vita, guardo con ottimismo. Il consiglio che posso dare a chi, come me, ha subito un intervento del genere, è quello di vivere normalmente, dimenticandosi di essere un trapiantato, apprezzando e ricordando solo i momenti belli». E, sul problema delle donazioni, che affligge il Sud, il professor Eady ha detto che «bisogna sensibilizzare maggiormente la gente, soprattutto nel civile mondo occidentale».
Nel corso della Conferenza internazionale di nefrologia, sono state diffuse le cifre della malattia renale in Campania, che conta cinquemilaottocento dializzati, 1100 pazienti in lista d'attesa per un trapianto, 60mila persone con problemi di reni, 160 centri di dialisi dei quali 128 privati.
C'è anche un'altra cifra, quella che riguarda il numero dei trapiantati di rene in Campania: appena 45 nel 2006, pochi rispetto a quanto accade nelle regioni del Nord. Spiega il professor Natale Gaspare De Santo del Centro Interdipartimentale di ricerca clinica del II Policlinico di Napoli. «La vita di un dializzato è una vita con molte dipendenze, la loro sopravvivenza è legata ad un macchinario al quale sottoporsi ogni 48 ore. Difficilmente queste persone possono programmare un viaggio o accettare un lavoro che richieda impegno. Ecco perché hanno bisogno di un'attenzione particolare. Non è facile adattarsi e accettare una vita con delle limitazioni. Non bisogna considerare solo la medicina curativa, ma avere un occhio anche per quella preventiva».
Apprezzato l'intervento del professor Paul L.
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