Si alzano alle sei di mattina per andare a fare le consegne nel centro storico. Da anni caricano e scaricano per otto ore al giorno. Qualche volta fanno pure gli straordinari. Sono i facchini della società cooperativa «Giada servizi» di passo Torbella che pensavano di guadagnarsi il pane con un contratto di servizi per il gruppo Bartolini. Invece, all'inizio dell'anno, si sono accorti che stavano sgobbando per le casse del Comune. Palazzo Tursi ha chiesto loro diecimila euro. E cioè 80 euro per ciascuna delle 120 contravvenzioni elevate grazie al remunerativo «Progetto Mercurio» che aveva previsto la regolamentazione ai varchi di accesso nei «carruggi» con l'utilizzo di telecamere. I facchini di Giada, però, avevano diritto a svolgere le loro mansioni nei vicoli e per loro non poteva vigere il divieto di circolazione in zona a traffico limitato. A non fare rimanere in «braghe» di tela i lavoratori, ci ha pensato l'avvocato Giuseppe Buffa che ha vinto i primi 40 ricorsi. Per fortuna i giudici di pace Miriam Di Siena, Roberto Garibbo e Giorgio Campana, hanno accolto le istanze e hanno annullato i verbali. Una tripletta che potrebbe portare a un'altra valanga di ricorsi e fare impensierire l'assessore Simone Farello.
I motivi su cui si basano le sentenze sono gli stessi e appaiono macroscopici. Il Comune «all'avvio del procedimento» e cioè del funzionamento degli scanner delle telecamere, si sarebbe «dimenticato» di informare la Giada Servizi, come altri autotrasportatori, che doveva essere fatta almeno con «un'enunciazione personale» come prevedono le norme in materia. I «cervelli» di Palazzo Tursi avrebbero affermato che il progetto era stato pubblicizzato sui mass-media e addirittura che si sarebbe fatta una pubblicità di «volantinaggio» e di distribuzione di opuscoli nelle «cassette delle lettere» dei carruggi. Insomma, un pochino come accade per le offerte 2 per 3 e gli sconti sul prosciutto o sull'elettrodomestico. Come tante altre società di trasporti, tuttavia, pure la Giada Servizi ha sede operativa al di fuori del centro storico genovese. Inoltre, al ricevimento del primo verbale, il 20 gennaio scorso, il legale rappresentante aveva immediatamente chiesto e ottenuto il lasciapassare per l'attività. Per quanto ha affermato l'avv. Buffa, inoltre, al momento degli scatti delle telecamere, non vi era «adeguata cartellonistica che indicasse l'operatività degli scanner».
I giudici, quindi, non hanno potuto fare altro che stigmatizzare il comportamento del Comune sottolineando che: «il ricorrente non aveva avuto conoscenza dell'operatività del divieto di accesso nella zona e di essersi munito della relativa autorizzazione non appena ricevuto la notifica del primo verbale».
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