da Roma
Sul mercato americano è andato così così: 50 milioni di dollari al box office, per un film con Russell Crowe e Christian Bale, non rappresentano un gran risultato. Però Quel treno per Yuma è un western, e si sa che il genere, dato ogni volta per morto e rinato, non gode di luminosa fortuna presso le platee d'oltreoceano. Tanto è vero che lo specialista Walter Hill il suo Broken Trail l'ha trasformato in un'epica miniserie tv di tre ore (si trova in dvd, bellissimo), Kevin Costner ci riprova ogni tanto producendosi da solo (il crepuscolare Terra di confine) e Brad Pitt s'è già pentito, visti i magri incassi, di aver incarnato Jesse James nel film che pure gli ha fruttato un premio a Venezia.
Per chi non sapesse, Quel treno per Yuma è il rifacimento del classico di Delmer Daves, anno 1957, con Van Heflin nei panni di un povero contadino con famiglia, ma abile tiratore, che per denaro accetta di scortare alla stazione di Contention uno spietato outlaw incarnato a sorpresa da Glenn Ford, da sempre specializzato in ruoli da eroe buono. Il film originale, all'insegna di una sorta di elegiaco umanesimo, tutto costruito sul contrasto psicologico che si acquieta strada facendo lasciando affiorare un inatteso rispetto tra i due personaggi, non piacque a un maestro del western come Howard Hawks, che trovò inverosimile lo spunto di fondo. Ma all'epoca Quel treno per Yuma, in originale 3:10 to Yuma, dall'orario d'arrivo del treno, ebbe un notevole successo, grazie anche all'accattivante canzone di Frankie Laine scritta per i titoli di coda.
Mezzo secolo dopo, reduce dal trionfo di Quando l'amore brucia l'anima sugli anni ruggenti del cantante country Johnny Cash, James Mangold è riuscita a coronare un doppio sogno: rifare uno dei film della sua vita e mettere insieme al primo colpo Crowe e Bale, ovvero Il gladiatore e Batman. «Ricordo di averlo visto a diciassette anni e mi colpì moltissimo, perché affrontava questioni importanti e delicate, ponendo domande cruciali sulla moralità, il coraggio, la famiglia, la dignità», ha spiegato il regista in un'intervista.
Naturalmente, nel ripensare il film tratto dal racconto di Elmore Leonard cercando di mantenerne lo spirito, Mangold ha largheggiato in sparatorie, duelli e pestaggi, per renderlo realistico e crudo, insomma gradito al pubblico giovane. Tuttavia non sarà semplice per Medusa, che arditamente lo fa uscire venerdì 19, il giorno dopo l'apertura della Festa di Roma, imporlo all'attenzione delle platee, nonostante l'arrivo salvifico di Russell Crowe (sta girando in Tunisia) previsto per martedì. Perché, dopo l'incipit di fuoco con l'assalto alla diligenza blindata, in attesa del sanguinoso showdown verso la stazione ferroviaria, Quel treno per Yuma conserva a ben vedere un sapore classico, da western d'altri tempi, tutto giocato - verbalmente giocato - sulle differenze e le affinità tra il contadino zoppo Dan Evans e il carismatico fuorilegge Ben Wade. Due anime dello stesso selvaggio West, contrapposte l'una all'altra in una chiave di redenzione, con tanto di citazioni bibliche, sguardi malinconici e dialoghi sul senso della vita. Di sicuro, a vederlo maneggiare la Colt 45 col crocefisso sul calcio, Crowe deve essersi divertito un mondo a indossare gli stivali del cattivo Wade. L'attore australiano ne fa un uomo pieno di charme, subito amato dalle donne, scaltro nell'anticipare le mosse dell'avversario, pronto a cogliere i sussulti emotivi di chi gli sta di fronte, perfino abile nel disegnare a matita. Racconta: «Ho letto la sceneggiatura, m'è subito piaciuta. Non avevo mai fatto western, era un ruolo interessante, inedito per me. Ben Wade uccide gente innocente, fa cose malvagie, ma a suo modo è onesto, non bara, ruba i soldi della Southern Pacific Railroad. E però, pur non credendo nell'esistenza di un Dio benevolo, ha letto la Bibbia, ne è rimasto turbato, il Vecchio Testamento gli è rimasto dentro».
Girato in New Mexico, anche a 25 gradi sotto zero, Quel treno per Yuma è magniloquente nel ritrarre i panorami, ma non cerca la dimensione epica, semmai, un po' come negli Spietati di Eastwood, è attraversato da una vena dolente, pensosa, bilanciata - per fare spettacolo - da quel luogotenente sanguinario in giacca grigia che pare uscire da un fumetto. In un ruolo di secondo piano, ma decisivo, rispunta Peter Fonda, che fu il ribelle di Easy Rider: alzi la mano chi lo riconosce.
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