Politica

La triste parabola del sindacato rosso finisce a botte su un palco di Torino

Al corteo degli operai Fiat i capipopolo litigano tra loro: il segretario Fiom Rinaldini gettato a terra dai Cobas. La rissa è specchio del vuoto di idee, mentre gli operai se ne vanno a destra. Sacconi: "Gli estremisti trovano sempre qualcuno più estremista di loro"

La triste parabola del sindacato rosso 
finisce a botte su un palco di Torino

Pena, rabbia, voglia di prenderli per il collo e dirgli: ma vi rendete conto del fatto che tutti ci guardano? Che i tedeschi della Opel non aspettano altro? E poi la Cgil che gonfia le sue vele a sinistra e a sinistra trova nuovi pugni e musi duri che le si avventano contro, sicché il segretario generale della Fiom Gianni Rinaldini viene raggiunto sul palco e strattonato, spinto, buttato fuori dal palco, e questo dopo che il segretario generale della Fim si era visto insultare ­ «venduto, venduto» ­ e staccare la spina del microfono. Poco dopo il segretario generale della Uilm piemontese, Maurizio Peverati, si prendeva una cinghiata in faccia che per puro caso risparmiava i suoi occhi spaccandogli però gli occhiali.
Sembra di assistere a un vecchio spezzone degli anni Settanta, peggio della cacciata di Luciano Lama dall’Università, peggio delle contestazioni al Pci davanti ai cancelli di Mirafiori. E del resto, che cosa rimane oggi della classe operaia diretta dal Partito democratico e dalla Cigl? Dicono i rilevamenti che il 52 per cento degli operai vota per Pdl e Lega con un balzo all’insù rispetto all’anno scorso e che persino fra i disoccupati il centrodestra è attestato sul filo del 40 per cento.
C’è qualcosa che non va, a quanto pare. La destra interpreta la sinistra e la sinistra ciecamente corre verso il burrone. Dice il vecchio detto radicale francese creato da René Renoult nei primi anni Trenta: Pas d’ennemis à gauche, non si devono avere nemici a sinistra. Ma la sinistra sindacale della Cgil benché cerchi di fronteggiare la situazione radicalizzandosi a sinistra, non fa che trovare «ennemis à gauche», nemici che ne prendono a schiaffi e a cinghiate i rappresentanti, che li buttano giù dal palco, che li zittiscono con gli insulti e staccando la spina ai microfoni, dando fondo al più miserabile spettacolo di anarchismo eccitato dalla totale mancanza di credibilità di un sindacato che ha perso la leadership, ha perso il potere di suggestione sul popolo dei Cipputi di una volta, ha perso tutto e ancora non ha capito che il radicalismo funziona come il piffero che trascina tutti in festa e fra le urla del corteo, verso il baratro.
Ieri a Torino, oltre a questa contestazione feroce, si godeva una giornata di grandiosa festa per la Fiera del Libro al Lingotto, per il Gay Pride (contemporaneamente vietato a Mosca) e per una occupazione universitaria. Torino non è più una città dalla monocultura Fiat, ma la Fiat allo stesso tempo è oggi tornata a essere un soggetto importante e vincente grazie alla leadership di Marchionne e del suo gruppo dirigente.
Non vogliamo qui ripetere e riassumere quel che sta accadendo fra Fiat e Stati Uniti e tra Fiat e gruppo Opel in Germania. Ciò che sciocca, turba, indigna, è che il gruppo dirigente dall’organizzazione sindacale cigiellina, e in questo caso la Fiom, sia totalmente, desolatamente, privo di strumenti politici e culturali per essere all’altezza della situazione e guidare, o contribuire a guidare, gli interessi di un settore del mondo del lavoro, nel corso di una gravissima crisi economica che deve ancora dare il peggio di sé, se stiamo alle previsioni che arrivano dall’America.
La mancanza totale di cultura politica porta ad una rabbia politica che accende soltanto nuove piccole sotto-rabbie politiche senza altro esito e sbocco che le urla scomposte, la violenza impotente e preoccupante, gli spintoni, le aggressioni squadristiche agli stessi capi sindacali, le vie di fatto, la grande delegittimazione.
I segnali di irrigidimento demagogico dello stesso Rinaldini, che ieri è stato vittima della violenza, si sono sprecati e soltanto per negare la realtà e le gerarchie dei fatti e dei loro collegamenti.
L’invasione dei Cobas, guidando in corteo le bande arrivate da Pomigliano, ha distrutto la sua posizione di leader intransigente ma senza alcuno sbocco politico e così il bel risultato finale è che più di metà dei Cipputi del 2009 si sente rappresentato da Berlusconi e da Bossi e un’altra fetta si sente rappresentata dal cieco estremismo manesco e parolaio, violento e demenziale dei nemici di sinistra.
È ovvio che la crisi e la rinascita della Fiat rappresentano insieme una grande sfida per il sindacato confederale e per la Fiom in particolare. Ma è altrettanto ovvio che una politica del no e dell’intimidazione porta soltanto a maggiori e più gravi intimidazioni e a una politica del «no» perfezionata fino a vette primitive, da antropologia luddista, con il desiderio di colpire e distruggere la civiltà industriale, dettando un’agenda fatta soltanto di pulsioni, insulti, concessioni vernacolari e slogan più vicini a Masaniello che alla memoria di Di Vittorio.


È stato insomma un pesante momento di regresso nella leadership, di regresso nei costumi sindacali e duole vedere come il prezzo venga fatto pagare a chi non è in grado di elaborare una linea sindacale, una linea politica, una forma di comunicazione che si trasformi in leadership: i leader sono sbeffeggiati e umiliati, la teppa prende il sopravvento, la sinistra non elabora, ci macina soltanto ruggine parolaia, la Cgil guidata in maniera irresponsabile sta veramente dando segni di agonia, mentre il suo tracciato mentale si fa sempre più piatto, sul palco assediato da una folla di arrabbiati che altro non hanno da offrire e da esprimere che arrabbiatura e distruttività.

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