Silvia Kramar
da New York
Fare lattore non è mai stato facile, neppure nel Paese che ha inventato cinema e televisione. La letteratura americana è piena di biografie di grandi star scoperte per caso, di attori usciti dalla magnifica fucina dellActor Studio che poi, per anni, si sono dovuti mantenere facendo i lavapiatti e i camerieri, prima di essere adocchiati da un talent scout. Talento e bellezza non sono mai bastati in un mondo in cui è soprattutto la fortuna a giocare un ruolo. Ma adesso a rendere ancor più arduo il cammino di attore arriva anche un nuovo ostacolo: il mondo dei reality show che con i suoi spettacoli fatti da gente comune sta scacciando i professionisti dal piccolo schermo. A lanciare lallarme è lo Screen Actor Guild di Los Angeles, secondo il quale il dieci per cento degli attori professionisti della televisione non riesce più a trovare lavoro, ad apparire su quei piccoli schermi occupati soprattutto dagli «apprendisti» di Donald Trump, dai ragazzi coraggiosi di Survivor e dai nipotini del mafioso John Gotti.
Come un orco, il mondo effimero dei reality sta letteralmente inghiottendo una delle professioni più antiche del mondo. Tradotto in numeri, quel dieci per cento di attori disoccupati significa che dai 37.954 ruoli offerti dalla televisione americana nel 2004, oggi invece siamo scesi a 34.431. Il talento appiccicaticcio della gente comune, ingaggiata dai produttori dei reality in cambio di un assegno veloce e di una fama immediata, ormai sembra sorpassare quello di chi ha studiato, ha fatto teatro e memorizzato Shakespeare.
In crisi non sono solo gli attori, ma anche alcune serie indimenticabili: senza più unaudience che soddisfi gli inserzionisti pubblicitari, anche telefilm del calibro di E.R., che nel prime time serale sfida alcuni reality show, rischiano di essere cancellati. Alla fine di questa stagione i produttori della trasmissione ambientata in un pronto soccorso di Chicago, che aveva lanciato attori come George Clooney, dovranno decidere se mettere la parola fine allultima puntata.
Ma la crisi delle star americane si fa sentire anche a Hollywood: dove vi sono sempre meno parti per attori famosi, bravi, perfino quelli da Oscar. Ed ecco che tutta una lunga serie di star si getta nella televisione, accettando ruoli snobbati fino a qualche anno fa. Tra questi Geena Davis, indimenticabile eroina di Thelma e Louise, che adesso appare come protagonista di una nuova serie di successo, nei panni della prima donna al vertice della Casa Bianca. La serie sintitola Commander in Chief e parte da un presupposto plausibile: la Davis, nei panni di MacEnzie Allen, diventa la prima donna vicepresidente degli Usa, accanto a un presidente che un giorno viene colpito da un infarto. Secondo la Costituzione di Washington, Mac, così la chiamano alla Casa Bianca, sostituisce il presidente e prende in mano il comando della nazione; ma è una donna e immediatamente, alle sue spalle, si forma un complotto ancor più feroce di quello sguinzagliato contro Bill Clinton per lo scandalo Lewinski.
A cercare di scalzarla è il capo di Gabinetto, il terzo in comando a cui, se la Davis cederà, verrà affidata la Casa Bianca; lo interpreta un altro grande attore che per mezzo secolo aveva giurato di non voler mai fare una serie tv: Donald Sutherland. E alla lista si possono aggiungere Dennis Hopper, il bad boy del cinema americano, oggi colonnello del Pentagono nella serie E Ring e anche Glenn Close, anche lei per la prima volta decisa ad apparire in una serie tv, un dramma che parla della corruzione nella polizia di Los Angeles, intitolato The Shield. La Close interpreta Monica Rowling, coraggioso capitano della police force californiana. Mentre sta per girare un rifacimento di Viale del tramonto, un musical nel quale vestirà i panni di Norma Desmond, Glenn Close ha optato per questa serie in mancanza di un altro lavoro. Accanto a lei il protagonista: si chiama Michael Chiklis ed è il classico attore televisivo.
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