Mentre su Facebook si celebrano i funerali di Hello Kitty, con immagini della dolce gattina made in Japan impiccata a una corda o peggio ancora, a New York impressiona una mostra di pittura, scultura, foto, video e installazioni della Japan Society intitolata «Bye bye Kitty!!!» (fino al 12 giugno), dove 17 giovani artisti giapponesi espongono la propria visione del mondo post-Fukushima. Una visione angosciosa, che non a caso comincia dalla fine di tutte le smielate gattinerie create ad arte, nel 74, dallazienda giapponese Sanrio grazie al marketing incentrato sul noto personaggio. Dai biglietti augurali agli assorbenti, non si contano i gadget col marchio della micetta dal fiocco rosso sullorecchio sinistro (sostituito, a volte, da un fiore a cinque petali) e priva di bocca per suscitare più tenerezza (ma nelle animazioni, a volte mostra una boccuccia).
Che sia lora di dire basta a quanto devessere carino per forza è evidente. La devastazione causata dallo tsunami ha infatti costretto la quasi totalità dei creativi a prendere le distanze dalla spensierata cultura pop degli ultimi decenni, come dimostrano le più recenti apparizioni di manga e anime su scenari di morte e solitudine. Così lo spirito kawaii, come in giapponese si chiama la tenerezza del cuore, unito a una forsennata ricerca estetica del carezzevole, è morto soffocato sotto la nube radioattiva.
Naturalmente, nessuno poteva immaginare che «Bye bye Kitty!!!» fosse allestita in contemporanea col disastro epocale di Fukushima, però colpisce lo Spirito del Tempo in una foto di Yoshitomo Nara, che mette due gattine Hello Kitty a guardia duna tomba: la sua. Makota Aida, invece, vola alto con le sue Harakiri Girls, le classiche adolescenti di Tokyo con laria da Lolita, gonne corte e calzini, dalle quali promana lansia tipica di chi non ha futuro, ma gioca per disperazione. E seppellisce la subcultura giap Takashi Murakami, con i suoi gnomi funerari. Non va diversamente dalle parti dei manga, con la figura messianica di Ken, il sopravvissuto (oltre 100 milioni di copie vendute) o lAkira di Katsubiro Otono, pronto a riesumare gli incubi del dopo-Hiroshima. Il sisma, insomma, ha influenzato ogni prodotto culturale: dai lungometraggi ai Pokemon, dalle anime ai manga: con Hello Kitty muore anche lottimismo della speranza.
La subcultura infantile che si è fatta strada in Giappone, soprattutto dagli anni 80, quando occorreva dimostrare al mondo come battere lAmerica in due mosse, affonda le radici nel trauma post-atomico. Parlando al Congresso Usa, nel 51, il generale Douglas MacArthur (1880-1964), comandante supremo delle Forze Alleate in Giappone, e riferendo le impressioni suscitategli dai giapponesi, disse: «Diciamo che trovo gli anglosassoni maturi: quoto la loro età mentale sui 45 anni e ciò vale anche per i tedeschi. I giapponesi, invece, nonostante la loro antica cultura, mi sembrano fermi a uno stadio scolastico. Misurando con gli standard della nostra civilizzazione, li quoterei sui 12 anni». Parole di piombo, soprattutto se ricordiamo il nome della bomba atomica, che ridusse a un deserto quel «regno dellimmaturità»: «Little Boy».
Eppure, per parlare alle masse, lo schema giocosamente infantile del Giappone moderno - quello che spregia le geishe, né conosce i diari della colta etera Murasaki Shikibu - finora è risultato vincente, sul mercato.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.