Ha messo a tacere la sua rivale Tzipi Livni. Ora deve riuscire fare lo stesso con la piazza e con lopposizione. Ma non sarà facile. Il leader del Likud «Bibi» Netanyahu, lex premier deciso a usare il cadavere di Ehud Olmert come un trampolino per il ritorno al potere, già annuncia guerra a oltranza. Per lui chi ha fallito in guerra non può pretendere di rimediare ai propri errori. E le oltre centomila persone, di tutte le estrazioni politiche, scese in piazza ieri sera nel cuore di Tel Aviv, la piazza Rabin, la pensano allo stesso modo.
Di fronte a queste minacce, linvito rivolto mercoledì dal ministro degli Esteri Tzipi Livni a Olmert perché si tolga dai piedi sembra il minore dei mali. Una presa di posizione fastidiosa, ma innocua. Il ministro degli Esteri non pretendeva di vincere al primo colpo. Per lei è più importante mantenere intatto il partito, evitare le elezioni anticipate e attendere quel rapporto finale sulla seconda guerra del Libano che a metà dellestate infliggerà a Olmert il naturale colpo di grazia.
Quella successione - per così dire «naturale» - prorogherà linevitabile scontro con il Likud di Bibi Netanyahu e rafforzerà il partito Kadima. Non a caso Tzipi Livni si è ben guardata dallabbandonare il governo ed è tornata a occupare la poltrona di ministro degli Esteri al fianco del premier.
La piazza, invece non scherza. Nella prima grande manifestazione nazionale convocata ieri sera a piazza Ytzahak Rabin per chiedere la testa del premier si coagula tutto il malumore del Paese. E quel malumore muove decine di migliaia di persone. Oltre 150mila insistevano a dire ieri notte gli organizzatori osservando linfilata di striscioni, braccia e pugni alzati. In quello sfrenato formicolio si agita la rabbia per la vittoria mancata, per la guerra mal combattuta, per linettitudine al comando.
E a far ribollire il brodo dello scontento contribuiscono personaggi della politica e della guerra. Il volto più popolare è sicuramente quello di Tomer Bohardana. La scorsa estate un elicottero lo scaricò più morto che vivo sul piazzale del Rambam Hospital di Jaffa. Lui quel giorno si rivoltò tra bende e flebo, e incurante delle ferite salutò fotografi e giornalisti con il segno della vittoria. Oggi la sua nuova guerra è contro Olmert, contro «lapatia che paralizza il Paese». «Non siamo qui soltanto per mandare a casa chi ha sbagliato, ma anche per chiedere un cambio etico e culturale. Vogliamo dei governi responsabili delle proprie azioni».
In questa richiesta si nasconde il grimaldello capace di disarticolare le difese allestite da Ehud Olmert e dai suoi consiglieri per non rinunciare al potere. Il piano è stato ufficializzato nel corso della riunione dei vertici di Kadima, durante la quale il premier ha ricompattato il centro del partito. Da qui allatteso verdetto finale di mezza estate lesecutivo farà di tutto per applicare in ogni minimo dettaglio le raccomandazioni fatte dalla commissione dinchiesta, cercando così di sottrarsi a una richiesta di dimissioni.
«Rispetteremo quelle raccomandazioni alla lettera - ha promesso al suo partito Olmert -, non mi trovo in una situazione facile, ma ho passato i 60 anni, ho molta esperienza e so assumermi la responsabilità delle mie azioni».
Il rivale «Bibi» Netanyahu non intende, però, concedergli vie duscita. «Chi ha fallito in tempo di guerra non può pretendere di rimediare a quei fallimenti.
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