«Non sono neppure sicuro di essere esistito così a lungo, di aver vissuto così tante vite». Lo disse Giancarlo Vigorelli, scrittore e critico letterario, insigne saggista e «manzoniano» illustre, giornalista e direttore di giornali, segretario della «Comunità europea degli scrittori» e vicepresidente dellIstituto Luce. Letterato e amico dei letterati. Un uomo che ebbe il privilegio di accompagnare il giovane Pasolini da Bernardo Bertolucci, di portare Giuseppe Berto dal vecchio Angelo Rizzoli, di presentare Sartre a Mondadori. E di chiacchierare con Michel Foucault, di lavorare con Alfonso Afò Gatto, di passare serate e serate e ancora serate, negli anni romani, al caffè Rosati o al Bolognese, con Ennio Flaiano, Enrico Falqui e Valerio Zurlini. Di difendere con anima e corpo, con carta e penna, i poeti minacciati, gli scrittori dissidenti, gli intellettuali perseguitati: Twardovski, Sinaski, Daniel, Solgenistin... La libertà, prima di tutto, è libertà di poter parlare, scrivere, giudicare.
Culturalmente e geneticamente lombardo («sulla mia tomba voglio scrivere solo lombardo, è una categoria dispersa, sotterranea»), religiosamente e spiritualmente cristiano, politicamente e profeticamente «europeista», Giancarlo Vigorelli - nato a Milano nel 1913, una coraggiosa laurea alla Cattolica di padre Gemelli sull«eretico» André Gide, giovanissimo collaboratore delle più prestigiose riviste dellepoca, da Primato a Paragone che fonda insieme con Curzio Malaparte, e da lì in avanti critico militante e straordinario organizzatore culturale fino alla morte, due anni fa, a Marina di Pietrasanta - Giancarlo Vigorelli ha scritto una pagina gloriosa della nostra storia letteraria. Eppure di sé diceva: «Non sono mai riuscito a prendermi troppo sul serio».
Lo prese sul serio invece, fin dallinizio, la critica letteraria, della quale finì per diventare il decano. Scrisse su Sartre, Julien Green, gli scrittori russi e quelli spagnoli, e poi i nostri Bacchelli, Landolfi, Delfini, Quasimodo, Ortese, Gadda e soprattutto - lui, «Gran Lombardo» - don Alessandro Manzoni, di cui curò ledizione nazionale delle opere, unanimemente considerato il suo capolavoro di studio.
Il capolavoro della (sua) memoria lo hanno però compiuto, oggi, due giovani critici, Gian Paolo Serino e Lorenzo Butti, che insieme alla vedova dello scrittore, Carla Tolomeo, hanno raccolto e commentato le fotografie più belle dellarchivio Vigorelli nel volume Così tante vite (Mattioli 1885), oltre trecento scatti inediti per raccontare la biografia di un Grande vecchio delle lettere oltre a quella degli intellos più belli del Novecento: uno ieratico Montale a colloquio con Borges, uno sfuocato Pasolini nel giardino di casa, un inconsueto Jean Paul Sartre che balla in una festa privata, i «suoi» russi (peccato però che non si sia riusciti a ritrovare le foto di Anna Achmátova portata a Taormina, per il Premio internazionale di poesia), lamico dai tempi della Resistenza Enrico Mattei (Vigorelli fu anche a lungo critico teatrale del Giorno), e poi Quasimodo, Moravia, Piovene, Calvino, Soldati, larte di De Chirico, Sassu e Manzù, un «elegantissimo» Antonio Ligabue alla sua prima mostra, una Laura Laurenzi in shorts mozzafiato (anno 1971... ), il mondo del cinema con Visconti e Gassman, Fellini e Antonioni, il presidente del Senegal, Senghor invitato a parlare qui a Milano, nel 72, allepoca delle grandi battaglie della Comes: la Comunità europea degli scrittori fondata nel 58 da Vigorelli per aiutare coloro che da una parte allaltra del mondo subivano persecuzioni per loro idee.
Idee. Giancarlo «il Grande» ne ebbe parecchie, tante quante le amicizie, le pagine lette, le pagine scritte. Fu una voce autentica. Perché riuscì - come diceva dei suoi scrittori prediletti - «a conglobare il romanzo convergente della Vita e della Letteratura».
Il libro Così tante vite. Il Novecento di Giancarlo Vigorelli (Mattioli 1885) sarà presentato lunedì 17 dicembre (18.30) alla Biblioteca Sormani da Vittorio Sgarbi, Salvatore Carrubba, Andrea Kerbaker, Serena Vitale e Gian Paolo Serino
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