Tutti alla festa, tranne uno: Lapo, l’ispiratore del Cinquino

Il giovane Elkann fu tra i primi in azienda a spingere per il ritorno della city-car

nostro inviato a Torino

Uno può anche sbagliare i congiuntivi, dire àbbino o fàccino provocando risate oceaniche, uno può anche vivere una vita spericolata che in confronto Vasco Rossi è San Francesco, uno può anche dimenticarsi del proprio cognome o casato, ma se poi indovina, per ispirazione, testa, idee, voglia di fare, insomma se azzecca l’intuizione dell’automobile-evento, al secolo la Cinquecento, allora si dovrebbe come minimo ringraziarlo, chessò. Una parola in pubblico, un invito a cena, un’intervista di poche parole, ma almeno la memoria del fatto. Niente. Secondo stile piemunteis Lapo Elkann risulta agli archivi di casa Fiat, ha dato, ha preso, è uscito, «cerèa».
A Torino mercoledì sera hanno sfilato auto e persone veramente importanti, industriali, ministri, politici e politicanti, banchieri, finanzieri, comici e soubrettine, c’erano gli uomini del management, tutti, eppure è rimasto un posto vuoto: quello della pecora nera, o bianconera visti i suoi gusti pallonari (emarginato o evitato anche in quel ramo dell’azienda).
Forse lo ha deciso lo stesso «Salvatore» Sergio Marchionne, che indossa ormai il maglione nero anche a letto fingendo di essere decontracté ma alla fine costruendosi addosso un’immagine blindata e scontata. Presto vedremo bancarelle con i suoi pullover neri? (Per restare in repertorio ieri l’ad, che ha ridato vita alla Fiat, si è presentato con la sua 500, indovinate un po’ il colore? Nero opaco).
Forse lo ha deciso lo stesso John Elkann, che non ha aperto bocca, ufficialmente, né mercoledì sera in riva al Po, né giovedì mattina dentro il PalaIzozaki, per dire «grazie, thank you», ma nell’ultima intervista rilasciata a Il Corriere della sera aveva indicato la strada del fratello: «Lapo ha deciso di vivere in maniera assolutamente indipendente e ha tutto il mio affetto. La sua attività imprenditoriale è conseguente a questa scelta. Io ho un altro mestiere: mi dedico alla cura degli interessi di una famiglia larga e complessa».
La vita assolutamente indipendente di Lapo è cosa pubblica, illustrata, fotografata, indagata, intercettata. Costui ha pagato il conto ma viene ancora e puntualmente preso in giro dai programmi radiotelevisivi satirici (stranamente certi signori e certe signore della moda ne restano invece immuni); è definito irrecuperabile anche da chi non era riuscito fino a tre anni fa a recuperare l’azienda Fiat, trovata in stato di morte presunta dal succitato Marchionne, non certo per colpe e responsabilità ancora di Lapo. Ma chissà, si potrebbe anche sospettare.
Restano, allora, alla voce «attivo», alcune ideuzze: il marchio rivisto e corretto, una verniciata fresca alla casa madre, le felpe griffate e poi taroccate da qualche infido sodale, gli slogan e i messaggi pubblicitari spolverati dallo smog del vej Piemont, una vivacità di immagine che ha trovato la massima espressione, professionale, culturale, manageriale in Luca De Meo, responsabile del brand.
Ma è tutta roba finita dentro i cassetti, così come l’ispirazione (lo ha ammesso Marchionne parlandone con Massimo Gramellini, vicedirettore de La Stampa) della 500, venuta quasi per caso, mostrando un orologio di marca storica e classica ma ritoccato con la bandiera tricolore, un made in Italy non soltanto nelle parole ma nei fatti, indicando che proprio «da» e «con» una 500 sarebbe ripartita la rinascita della Fiat.
Sono pagine vecchie, da collezione e archivio dei giornali, quasi un fastidio molesto per chi è costretto a seguire i nuovi ordini di scuderia e di corte. Mercoledì 4 luglio la baby 500 si è ritrovata circondata e coccolata da moltissimi parenti, stretti e lontani, ma ha invano cercato il padre.
Lapo Elkann stava altrove, forse davanti a un televisore, forse alla prese con la sua «attività imprenditoriale conseguente alla scelta di vita indipendente» stando alle parole del fratello maggiore.

La fiabesca festa sull’acqua, i fuochi che hanno illuminato la notte bellissima di Torino, i vip e i comici, le soubrette e i banchieri sono serviti a nascondere un posto vuoto. E scomodo. Meno se ne parla, meglio è. Per molti. Per tutti. O quasi.

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