«Almanacchi, almanacchi nuovi; lunari nuovi. Bisognano, signore, almanacchi?». Inizia così uno dei testi più famosi di Giacomo Leopardi. E il poeta non scelse un incipit a caso, per questo suo dialogo incentrato sull'incertezza dei destini umani che ci rende accettabile il futuro a colpi di ingannevole speranza. Gli almanacchi e i lunari sono stati a lungo la lettura più diffusa tra le classi popolari della penisola italiana e non solo. Questi compendi che univano l'astronomia, l'astrologia, le informazioni agricole (dalle date per la semina ai consigli per quando imbottare) e il calendario nacquero nel Medioevo e iniziarono a diffondersi in maniera sistematica con la nascita della stampa. Divennero poi un vero must nel '700, quando le finalità pedagogiche dell'illuminismo si declinarono verso il basso.
Fra tutti gli almanacchi stampati in Italia, anche quando Italia era solo un'espressione geografica, il più longevo e famoso è sicuramente il cosiddetto Barbanera, ma meglio sarebbe dire i Barbanera. Sul peso, anche culturale, di questo incredibile long-seller bastano le parole di Gabriele d'Annunzio: «La gente comune pensa che al mio capezzale io abbia l'Odissea o l'Iliade, o la Bibbia, o Flacco, o Dante, o l'Alcyone di Gabriele d'Annunzio. Il libro del mio capezzale è quello ove s'aduna il fiore dei Tempi e la saggezza delle Nazioni: il Barbanera». Per capire invece la complessa storia editoriale di questo «libro per tutti» che gli italiani leggono ormai da più di 250 anni meglio sfogliare Sotto il segno di Barbanera. Continuità e trasformazioni di un almanacco tra XVIII e XXI secolo (Mimesis, pagg. 124, euro 11) di Elisa Marazzi. Marazzi, che è una ricercatrice dell'Università Statale di Milano, ricostruisce la genesi di questo testo leggendario, anche nell'attribuzione a un misterioso e fantomatico astronomo, a partire dal 1762 quando, a Foligno, fu data alle stampe la prima edizione nota. Per farlo si è servita della collezione della «Fondazione Barbanera 1762» di Spello (Perugia), dove sono conservati ottomila almanacchi italiani e stranieri.
Tutto iniziò con un lunario in foglio stampato da Pompeo Campana, stampatore vescovile, e attribuito al «famoso Barbanera». Evidentemente il prodotto funzionò e l'idea in area folignate venne rapidamente ripresa da due tipografie, quella della famiglia Tomassini e quella della famiglia Campitelli. Barbanera divenne una specie di garanzia di qualità delle previsioni, ma in epoche in cui il copyright era un concetto molto più aleatorio di quanto sia adesso, in molti cercarono di impossessarsene. E nel frattempo si passò dai lunari in foglio da appendere al muro a veri e propri libretti (spesso tra le 48 e le 64 pagine). I volumetti, a prescindere dallo stampatore, non si discostavano molto nei contenuti e nelle forme, tanto che è difficile capire quando le similitudini nascano da «scippi» editoriali e quando da spartizione cooperativa dei materiali e del mercato. Tutti iniziavano con un dialogo di carattere moraleggiante fra l'astronomo e un paesano a cui seguiva il proposito del villico di scendere in città e consegnare allo stampatore il manoscritto dell'almanacco per fare bene a più persone. Seguivano poi un pronostico generale per l'anno e sezioni dedicate a ogni mese, ricche di «dritte» agricole, notizie geografiche, cabale e consigli igienici. Nel finale, la cosiddetta «protesta», quella che preveniva la censura che avrebbe potuto colpire pratiche astrologiche: «Senza il Divino volere le cose dette mai potranno avverarsi».
Sarà stato anche un cliché un po' trito, come vetusti erano spesso i caratteri usati per la stampa degli almanacchi, ma così di successo che tutto l'Ottocento è caratterizzato da lotte, accompagnate da sentenze di tribunale, tra vari Barbanera che si contendevano i lettori, ognuno dichiarando di essere l'originale. Tanto più che nel frattempo era nato anche un Barbanera «napoletano» edito dall'editore Chiurazzi con tematiche più adatte al pubblico cittadino, questo al netto anche di cloni «minori». Questioni di lana caprina? No, i lettori non volevano farsi rifilare barbe finte. Ce lo testimonia anche Emilio Cecchi in uno dei suoi Tarli in cui gioca con l'archetipo leopardiano: «Venditore: Almanacchi, almanacchi nuovi, lunari nuovi. Bisognano, signore, almanacchi per il 1922? Passeggere: Avete il Barbanera? Venditore: Eccole il vero Barbanera... È il più antico e rinomato lunario d'Italia. Guardarsi, signore, dalle contraffazioni!».
Ma nel '22 ormai Barbanera aveva «edizioni» americane dedicate agli immigrati, con annessi consigli specifici per integrarsi al di là dell'oceano. Poi, a partire dagli anni Quaranta, si ebbe una concentrazione editoriale che portò il «marchio» Barbanera ad appartenere solo all'editore Campi, che ancora oggi produce il calendario e l'almanacco Barbanera. Perché ancora oggi, leopardianamente, alla domanda «bisognano, signore, almanacchi?» rispondiamo sempre, speranzosamente, sì.
A proposito, ma chi li ha
scritti per secoli questi pronostici? Certezze non ce ne sono, ma l'autrice del saggio procede per indizi e indica (almeno per alcune annate) alcuni intellettuali di Foligno. Perché non c'è attività più colta che rendersi pop.
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