Alberto Pasolini Zanelli
Dovrebbe essere stato proprio lultimo passo. Annunciando il suo abbandono della «campagna armata», lIra ha messo una firma che pesa in fondo a una pagina di sangue e di passione che avevano cominciato a scrivere nove secoli fa i Normanni, ben presto scomparsi in una realtà etnica che sfida i cliché della «guerra di popoli» e della «Palestina dEuropa». E di una guerra che ha suscitato alcune fra le più belle poesie della lingua inglese, quella dei dominatori, sotto la penna di grandissimi «vinti». Ci ricordiamo tutti il saluto di battesimo di Yeats: «A terrible beauty is born», «È nata una bellezza terribile». Era il 1916 e lode celebrava uninsurrezione fallita da cui però doveva nascere una svolta importante, lindipendenza e, paradossalmente, la più famosa organizzazione terroristica dEuropa. Il ventesimo secolo, si disse anche, era cominciato in Irlanda con ritardo. Il ventunesimo lo ha quasi recuperato. La pace è venuta a tappe faticate, anche perché non aveva da offrire gloria ma solo i frutti insipidi della saggezza. Ma non si poteva più chiamare guerra e tanto meno guerra civile, uno status in cui il braccio politico dellarmata rivoluzionaria condivide da anni, sia pure asmaticamente, le responsabilità di governo.
LIrlanda, neanche quella del Nord, non è una Palestina. Il conflitto per Belfast e Londonderry non è un bis per quello di Gerusalemme e Gaza. In Palestina si affrontano due popoli, due religioni, due civiltà che non riescono a convivere. LIrlanda del Nord è una delle terre etnicamente e culturalmente più omogenee del pianeta: è bianca, europea, cristiana. I suoi abitanti parlano la stessa lingua, mangiano gli stessi cibi, guardano le stesse tv. Si parla spesso di una maggioranza irlandese e cattolica e di una minoranza britannica e protestante, ed è vero che lunica immigrazione di massa degli ultimi cinque secoli è venuta dalla Scozia; ma si dimentica di aggiungere che la Scozia, prima, era stata popolata principalmente da irlandesi, al punto che il suo stesso nome, Scotland, significa appunto «terra degli irlandesi», Scoti in latino.
A identificare e contrapporre le comunità cera dunque soprattutto lappartenenza confessionale, ma la pretesa britannica di dominio sullIrlanda è molto anteriore alla riforma e risale appunto ai Normanni. Dominatori e sottomessi recitavano le stesse preghiere, credevano negli stessi dogmi, riconoscevano lautorità dello stesso Papa: ma si contendevano la stessa terra. Poi i Signori inglesi delle città murate spalancarono le porte alla Controriforma, mentre gli intellettuali protestanti trovarono appoggio nelle aree rurali. Nelle lotte di Londra fra Re e Parlamento, cattolici e anglicani dIrlanda si schierarono entrambi con la monarchia e contro i Puritani, attirandosi così le feroci repressioni ordinate da Cromwell nel 1640, ma ancora cinquantanni dopo la vittoria decisiva di Guglielmo dOrange (quella che viene solennemente commemorata dai protestanti il 12 luglio) fu festeggiata con un solenne Te Deum nella cattolica Vienna e praticamente benedetta dal Papato.
Fu solo nel 1691, dopo la battaglia di Aughrim, che la nobiltà cattolica si rifugiò in Francia lasciando senza un braccio armato i contadini, su cui si abbatté unaristocrazia di conquistatori. Lentamente si sviluppò un regime simile allapartheid sudafricano con rivestimento confessionale: i presbiteriani alzarono la bandiera di un protestantesimo «unionista» e filobritannico, mentre nelle zone rurali nasceva il nazionalismo repubblicano ispirato dalla Rivoluzione Francese e cementato dalla miseria che culminò nella famigerata «carestia delle patate». Quelli furono i tempi terribili e la rivolta della Pasqua 1916, pur domata, fu in realtà la prima data moderna e la prima tappa sulla via della pace.
LIra ha dominato questa fase di transizione con eroismo e ferocia, ma la sua battaglia è diventata perdente solo con lavvento della prosperità economica. È sparito a poco a poco quel sottoproletariato cattolico oppresso in cui essa raccoglieva le sue reclute, la Gran Bretagna e lIrlanda repubblicana hanno percorso contemporaneamente il sentiero del boom economico.
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