Ucciso e bruciato dall’amico «malato» di noia assassina

«Mazzi tucc» (uccido tutti). Se la fosca storia del delitto di Ardenno è la storia di un balordo di paese cui per anni - per distrazione, paura, rispetto verso i quattrini della famiglia - è stato lasciato il guinzaglio troppo lungo, allora la frase cruciale nelle carte dell’inchiesta è questa. Mazzi tucc, ammazzo tutti. Così - racconta la sua fidanzata - strepitava Simone Rossi, ventinovenne rampollo della Rossi Graniti spa, gonfio di alcol e di coca, la sera del 16 maggio. Nessuno sa dire con chiarezza quale rabbia lo agitasse, quale odio covasse dentro. Ma si sa - o almeno la magistratura di Sondrio è convinta di sapere - chi fu a farne le spese.
Donald Sacchetto, anche lui poco più che ragazzo, amico di Simone Rossi. Anche lui cresciuto nella noia di questo paese in Valtellina. Un colpo in testa. Poi il corpo nascosto, fatto a pezzi, triturato in uno scenario da orrore che l’ordine di cattura per omicidio riassume così: «I resti risultano tanto frazionati, scorporati e sbrindellati che del cadavere di Sacchetto Donald non vi è più consistenza. L’essenza del cadavere è stata annullata dall’azione miratamente adeguata del Rossi».
Forse è meglio fare un passo indietro, e raccontare i personaggi e lo scenario. Ardenno, tremila abitanti. Intorno, le montagne. In paese - in mezzo ai tanti che lavorano sodo - il gruppo di quelli che vanno per pub, che annegano tra le birre, le canne e qualche tiro di coca le serate che non finiscono mai. Vittima e assassino fanno parte di questo mondo, ma più diversi non potrebbero essere. Donald ha alle spalle una famiglia con pochi mezzi e poche speranze: da poco si è fatto tatuare sul bicipite un volto di Cristo piangente. Simone è il ricco del paese, erede di un’industria del marmo. Con i soldi è convinto di poter comprare tutto, e a volte ci riesce. Gira col Mercedes Suv, beve, fa casino. Una volta che i vigili lo hanno fermato - si racconta in paese - gli ha sfasciato l’etilometro a cazzotti. Intorno ai due, vittima e assassino, il giro degli amici, sempre le solite facce, nel giro dei pub: La Baita, El Cuarto, il Guata.
Ecco come ai carabinieri lo racconta la sua ragazza: «Il Simone è consumatore abituale di cocaina. Questo avviene soprattutto durante i fine settimana ed è in queste occasioni che si è reso responsabile di azioni irruente e violente. Lui è convinto che io sia di sua proprietà e quindi non ammette che io abbia contatti o amicizie con altri ragazzi. A causa di questa sua ossessione in diverse occasioni sono stata oggetto di percosse da parte del Simone, in quanto aveva iniziato ad assumere quelle sue intemperanze ed onnipotenze». Intemperanze ed onnipotenze: probabilmente non si poteva sintetizzare meglio. Per diverse volte - una persino la sera della Festa della donna - la ragazza viene riempita di botte da Simone Rossi. Quando arriva in ospedale con la faccia tumefatta, ai medici dice di essere inciampata in casa.
La sera del 16 maggio, il solito giro degli amici si ritrova in uno dei soliti pub. È la festa di compleanno di Donald, quello che verrà ucciso. Racconta una delle ragazze: «Simone è arrivato, e sembrava su di giri. Siamo andati a fare un giro con la sua Mercedes. Non appena abbiamo lasciato la Statale, Simone ha tirato fuori dalla cintura dei pantaloni una pistola di colore scuro, ha aperto il tettuccio della macchina e ha sparato due o tre colpi. Dal rumore delle esplosioni credo che si trattasse di una pistola vera». È la stessa pistola che la fidanzata di Simone Rossi racconta di avere visto pochi minuti prima, nelle mani del giovanotto: «Ha preso una pistola iniziando a maneggiarla davanti a me farneticando e proferendo frasi del tipo "Mazzi tucc", e altre frasi che lui è solito dire quando è in quelle condizioni».
Che un pistolero strafatto di cocaina giri per Ardenno facendo fuoco nessuno sembra notarlo, tranne le ragazze che lo accompagnano. L’epilogo, nella sua crudezza, non si può ricostruire che con le frasi cruciali dell’ordinanza di custodia: «Allontanatesi le ragazze, il Rossi parla fitto con il Sacchetto, quindi i due senza dire nulla ai compagni di serata se ne vanno a bordo dell’auto del Rossi. Il Sacchetto non tornerà più. Giunto con il Rossi al cantiere di quest’ultimo (probabilmente per finalità legate a questione di stupefacente) per ragioni ancora oscure il Sacchetto viene aggredito ed ucciso, dopo essere sceso dall’auto, probabilmente con uno o più colpi di pistola. Prima di questo evento, a bordo del suv Mercedes deve essere avvenuto, almeno tra i due (è l’unico passaggio in cui il giudice ipotizza che potesse esserci anche un terzo protagonista, ndr) una colluttazione o uno scontro fisico: solo così possono spiegarsi le macchie di sangue rilevate sull’auto del Rossi; può essere che lo scontro abbia determinato il seguito esiziale, e cioè che il Rossi impugnata la pistola e sceso dall’auto abbia sparato al Sacchetto che dall’auto si allontanava. Poi il Rossi trascina il corpo dentro il capannone, accantona il cadavere perché non sia scoperto, si ripulisce, cambia l’auto e torna frettolosamente a casa della fidanzata. Poi si addormenta e dorme sino alle sette del mattino quando si reca al cantiere, distrugge il cadavere, distrugge la pistola, torna dalla fidanzata, dorme ancora fin verso le 11.30».

Quindici giorni dopo, dalla cava di granito di Simone Rossi, affiorano «frammenti di ossa e plurimi tessuti molti misti a terriccio e sassi (porzioni di coste. di vertebre, una porzione di femore, di radio) probabilmente costituenti resti umani di epoca recente». Quando il procuratore Fabio Napoleone lo arresta, Simone Rossi non fa una piega.

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