Rafael Benitez ha cercato qualche mano da stringere, qualcuno che lo abbracciasse, qualcuno che lo ringraziasse. Era un uomo solo in mezzo al campo mentre stava accadendo qualcosa di importante, di unico per il football italiano e dell’Inter. I suoi ragazzi erano di nuovo campioni e stavano festeggiavano, in gruppo, soltanto sorridendo, senza champagne e balletti sghembi, ormai abituati alle vittorie importanti. Rafael Benitez allora è andato lui a stringere cento mani, è andato lui ad abbracciare i suoi ragazzi, ha aspettato che Massimo Moratti scendesse, fiero, sul campo, per capire, per sapere. Il presidente ha salutato il mondo, come se avesse di colpo ritrovato la sua vera famiglia, dispersa, smarrita in questi ultimi mesi, ha baciato Lucio, ha accarezzato Stankovic, ha dato un buffetto a Julio Cesar. Infine si è ritrovato di fronte Benitez, l’incontro atteso. Si sono abbracciati, un fotogramma chiaro, importante dopo cento flash scuri, stracciati, finiti nel cestino. Poi Moratti è andato, impaziente, altrove.
Non ho visto lacrime, ho visto sorrisi, Benitez stava però in mezzo a tutti come uno chiunque, nessuno lo ha portato in trionfo, nessuno è andato a sollevarlo al cielo come è accaduto poi con la coppa più importante di tutti i continenti. Rafael è rimasto in un angolo, silenzioso, discreto, ha osservato la festa che lo vede partecipe ma non protagonista, comparsa e non attore. Qualcuno ha ovviamente ripensato a Mourinho, al pianto nervoso di Madrid, alle scene di tripudio nella notte spagnola. Quando Javier Zanetti ha alzato la coppa, tra i coriandoli e i botti dei fuochi di artificio, il gruppo dell’Inter ha preso a urlare, a saltare, a cantare. Erano bambini in festa, il maestro era nascosto.
Nella fotografia ricordo Rafael Benitez stava in fondo a sinistra, alle spalle di Castellazzi, una riserva, come lui è in questa storia un po’ strana, riserva di un altro, riserva di se stesso, dimenticato, non evitato, sopportato, non disprezzato. Ma nell’almanacco del calcio mondiale entrano il suo nome e il suo cognome, dopo quelli di Helenio Herrera. Questa è la cronaca che diventa storia e nessuno può cancellarla anche se da domani si torna nel cortile di casa.
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