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Usa, i primi guai per Obama: scandali e rabbia dei liberal

A un mese dall'elezione il presidente eletto cerca di limitare i danni e chiede le dimissioni del governatore dell’Illinois che aveva messo il seggio di senatore all’asta. Nei guai Jesse Jackson junior

Usa, i primi guai per Obama: 
scandali e rabbia dei liberal

Lo chiamano «Chicago machine» ed è famosa per essere l'apparato politico più corrotto d'America. L'altro giorno ha travolto il governatore dell'Illinois Rod Blagojevich che anziché nominare in coscienza il successore di Obama al Senato, ha tentato di mettere il seggio all'asta. L'Fbi ha intercettato le telefonate e lo ha arrestato, scagionando al contempo il presidente eletto: non era al corrente di nulla.

Eppure i media Usa scrivono che Barack in queste ore non è affatto tranquillo. E non è difficile capire perché. Il candidato che ha vinto le elezioni promettendo il cambiamento non gradisce che l'America si interessi improvvisamente al mondo che ha consentito la sua fulminea ascesa. Insomma, che vada a verificare le sue credenziali di riformatore. È il suo punto debole e Obama lo ha sempre saputo. Per mesi ha vissuto nel terrore che i suoi rapporti con la «Chicago machine» diventassero uno dei temi centrali della campagna elettorale. Gli spin doctor repubblicani avevano già caricato l'artiglieria, ma la crisi finanziaria ha fatto passare tutto in secondo piano. Almeno fino ad ora. Anche per questo ieri il presidente eletto, finito nel mirino per il commento prudente delle prime ore («sono addolorato»), ha cambiato marcia chiedendo le dimissioni di Blagojevic. «Nelle circostanze attuali - ha detto il suo portavoce - è difficile che il governatore possa fare il suo lavoro». A pensarla diversamente è lo stesso Blagojevich tornato in ufficio come se niente fosse, dopo la libertà su cauzione. Nei guai intanto potrebbe finire il deputato democratico Jesse Jackson junior, figlio di uno dei più noti esponenti del partito. Sarebbe lui, secondo il canale tv Abc, ad aver promesso tangenti a Blagojevic. Quanto a Obama la «Mani pulite» dell’Illinois non è l’unico guaio di questi giorni. A sinistra i delusi aumentano di giorno in giorno. Erano convinti che Barack fosse uno di loro e invece non solo ha rinnegato buona parte del programma, ma ha nominato ministri moderati o addirittura conservatori, affidando la guida dell'economia ai ragazzi di Rubin, l'ex ministro del Tesoro di Clinton, profeta della deregolamentazione finanziaria e attuale numero uno di Citigroup. Ha confermato alla guida del Pentagono Robert Gates, l'uomo di Bush, e ha affidato la politica estera a Hillary Clinton, che votò a favore della guerra in Irak. Sui alcuni siti la disillusione si sta trasformando in rabbia: altro che uomo di rottura, Barack ha già le stigmate dell'establishment.

Ora l'onda dello scandalo Blagojevich rischia di scalfire la sua immagine anche tra i moderati, per i suoi rapporti con figure non certo edificanti. Sono noti i legami con il palazzinaro Antoin Rezko, suo grande finanziatore, e ora in carcere per corruzione; ma quello con i padrini della politica di Chicago sono ancora sconosciuti al grande pubblico. Obama, a quanto si sa, non ha commesso atti illeciti, ma ha fatto carriera evitando accuratamente di disturbare i potenti della città. Quando era senatore dello Stato dell'Illinois ha votato oltre 100 volte astenuto, in particolare su proposte di legge delicate, per evitare il rischio di alienarsi le simpatie di qualche influente gruppo elettorale. Dopo aver iniziato la carriera nell'estrema sinistra, si è messo nella scia di Emil Jones junior, il potente presidente del Senato dell'Illinois che divenne il suo mentore. Fu lui nel 2004 a permettergli di correre per il seggio a Washington. E non è un caso che proprio Jones fosse uno dei papabili nella lista di Blagojevich, che peraltro con Obama non ha mai davvero legato.

Barack, però, è sempre stato in ottimi rapporti con il discusso sindaco di Chicago Richard Dailey e ha sempre evitato di compromettersi con i candidati davvero alternativi emersi in Illinois.

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