Usa nel mirino di S&P: rating a rischio

Giudizio rivisto se il Congresso non trova un accordo sul riequilibrio dei conti. Piazza Affari cede il 3%. Casa Bianca: "E' un giudizio politico". Moody's conferma il suo voto all'America

Usa nel mirino di S&P: rating a rischio

Il tempo dei timori reverenziali nei confronti degli Stati Uniti e del suo debito monstre è finito: ieri, Standard&Poor’s ha deciso di abbassare l’outlook sul rating Usa da stabile a negativo. Anche se la tripla A dell’eccellenza finanziaria non è stata toccata, la mossa - senza precedenti - indica una possibilità su tre che il rating a stelle e strisce a lungo termine subisca un taglio entro i prossimi due anni.
Di fatto, l’America ha perso lo status di intoccabile di cui aveva finora beneficiato. E nella reazione immediata dei mercati se ne sono subito colte le eventuali implicazioni: in volo l’oro (sfiorati i 1.500 dollari), giù l’euro (poco sopra quota 1,41 anche a causa dei timori sul debito greco e irlandese) e soprattutto male le Borse, da quelle europee appesantite da cali superiori ai due punti percentuali (-2,9% Milano, con le banche in calo di oltre il 4%), a Wall Street (-1,9% a un’ora dalla chiusura).
Non condiviso da Moody’s (confermate le prospettive stabili sul rating di tripla A), il verdetto è stato bollato dalla Casa Bianca con la sprezzante definizione di «giudizio politico». In parte, è anche di questo che si tratta. Di una motivazione politica che rimanda al «rischio materiale - si legge in una nota - che i parlamentari non raggiungano un accordo sul modo in cui indirizzare a medio e lungo termine le difficoltà di bilancio entro il 2013». Per la verità, perplessità sull’assenza di una strategia credibile di risanamento dei conti federali sono state di recente sollevate anche dal Fmi, secondo il quale il deficit Usa 2011 si attesterà al 10,8% del Pil, dopo il 10,6% del 2012. Nessuna tra le economie più sviluppate ha un tasso di indebitamento così elevato. Obama, convinto che gli Usa «faranno meglio» rispetto all’outlook dell’agenzia di rating, conta di ridurre il disavanzo di 4mila miliardi di dollari in 12 anni, ma i repubblicani non sembrano d’accordo sulla cura proposta. Il timore di S&P è che i negoziati politici su come sciogliere i nodi di bilancio si possano protrarre «almeno fin dopo le elezioni del 2012» per la Casa Bianca e per buona parte di Congresso e Senato.
In ogni caso, servono risultati in fretta. Perché poco importa se l’economia Usa è «flessibile e molto diversificata» e le pressioni inflazionistiche contenute: senza un’intesa entro il 2013 e dunque senza misure correttive, il profilo fiscale degli Usa diventerebbe «significativamente più debole rispetto ai pari emettitori di debito sovrano con rating AAA». Francia, Germania e Gran Bretagna sono state infatti più veloci degli Stati Uniti nel risanare i conti pubblici messi sotto stress dalla crisi finanziaria. In particolare, secondo Nikola Swann, analista di S&P, Londra ha un «credibile» piano di consolidamento fiscale pur uscendo da una recessione peggiore di quella che ha colpito gli Usa.
L’irritata reazione con cui la Casa Bianca ha accolto l’annuncio dell’agenzia di rating fa il paio con quelle altrettanto risentite dei governi greco, irlandese e perfino dell’Unione europea.

Il 30 marzo scorso, in occasione dell’ultimo taglio del rating di Atene (sceso a livello spazzatura, addirittura sotto quello dell’Egitto), il portavoce del commissario Ue agli affari economici e monetari Olli Rehn aveva parlato di una «valutazione di parte».

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