«Gli Stati Uniti e la Cina non hanno bisogno di una guerra fredda» è il titolo di un articolo di Henry Kissinger sul New York Times: alla vigilia di una cruciale visita del presidente Hu Jintao a Washington, il quasi novantenne ex Segretario di Stato, artefice a suo tempo del riconoscimento della Cina comunista da parte dell'America, ha sentito il dovere di scendere in campo per evitare che i rapporti tra le due superpotenze, oggi al livello più basso del Terzo millennio, si deteriorino ulteriormente. «Un aperto scontro tra i due Paesi - scrive - porterebbe di nuovo a una divisione del mondo in due blocchi, con ripercussioni anche a livello di politiche interne, in un momento in cui problemi chiave, come la lotta alla proliferazione nucleare, il deterioramento dell'ambiente e il reperimento di nuove risorse energetiche richiedono soluzioni globali e condivise».
L'allarme di Kissinger non è purtroppo campato in aria, ed è basato su una serie di fatti concreti che sarà difficile rimuovere quando, mercoledì, Obama e Hu si ritroveranno alla Casa Bianca. Da parte americana, si rinfaccia alla Cina l'ostinato rifiuto alla rivalutazione del renmimbi, la scarsa cooperazione nei difficili rapporti con la Corea del Nord, gli spudorati furti di tecnologia informatica, la sordità a ogni appello in favore dei dissidenti, la resistenza alle liberalizzazioni prescritte dall'Organizzazione mondiale del commercio e - ultimamente - anche una aggressività che sta suscitando allarme nell'intera Asia orientale. Forse per sottolineare che sono in grado di misurarsi con l'America anche sul terreno militare, i cinesi hanno fatto coincidere la recente visita del Segretario alla Difesa Gates con la presentazione di un nuovo missile navale e il volo sperimentale del loro primo "aereo invisibile". Intanto, procedono a grandi passi con la modernizzazione dell'esercito, ribadiscono con arroganza le loro rivendicazioni sui contesi arcipelaghi del Mar Cinese meridionale e in genere si comportano con i vicini da potenza egemone, quasi si fosse tornati indietro di trecento anni, ai tempi gloriosi dell'Impero di Mezzo. A Washington molti sono convinti che i cinesi stiano abbandonando la loro tradizionale politica estera di basso profilo e - approfittando di quello che ritengono un irreversibile declino degli Stati Uniti - siano decisi a confrontarsi ormai con loro da pari a pari, cominciando a ridimensionare il ruolo che hanno in Asia. Il fatto di essere di gran lunga il più grande creditore dell'America e di essere diventata indispensabile, con i suoi acquisti di Treasury bonds. per tenerne in piedi i conti sembra aver dato alla Repubblica popolare quella sicurezza in se stessa che le mancava fino a qualche anno fa. Per adesso questo atteggiamento non si riflette tanto nelle dichiarazioni ufficiali del governo, quanto nel dibattito in corso nella stampa e nella blogosfera, improntato a un misto di nazionalismo e di antiamericanismo.
Dopo il modo quasi sprezzante con cui i cinesi hanno trattato Obama in occasione della sua ultima visita a Pechino (e, più di recente, la vicenda del premio Nobel per la pace) l'amministrazione americana sta cercando una via per contrastare queste tendenze, e ritornare allo «spirito del G2». Una teoria è che Hu sia, in realtà, il leader più debole dell'era comunista, molto condizionato sia dai militari, sia dai nuovi potentati economici, e perciò in difficoltà, suo malgrado, perfino a mantenere gli impegni assunti. Risulta per esempio che la rivalutazione del renmimbi, che la stessa Banca centrale cinese vedrebbe con favore per combattere l'inflazione, sia stata bloccata dalle grandi aziende controllate dal partito e dall'esercito che hanno bisogno di esportare. Con la contesa già in corso per il cambio della guardia ai vertici, in programma per il 2012, militari e establishment economico starebbero addirittura attuando proprie politiche estere, un po' come faceva a suo tempo in Italia l'Eni di Enrico Mattei.
In questa atmosfera, è difficile che il vertice di domani porti a un vero chiarimento tra le due superpotenze: i comunicati ufficiali saranno certamente ottimisti, l'atmosfera in apparenza cordiale, ma i problemi veri sono destinati a rimanere.
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