Washington gongola e Mosca s’infuria, ma gli amanti del Le Carré vecchia maniera possono tirare un sospiro di sollievo. La seconda delle due professioni più antiche del mondo non solo sopravvive alla caduta del muro di Berlino, ma resta assai richiesta. La saga delle undici spie di Mosca arrestate negli Stati Uniti lo scorso fine settimana e incriminate da una corte federale di Manhattan è lì a dimostrarlo. Svezzati alla vecchia scuola del Kgb quando erano adolescenti, infiltrati negli Stati Uniti quando l’impero sovietico era già una distesa di rovine, le undici talpe - oggi quarantenni - sono diventate i cavalli di Troia della nuova Russia di Vladimir Putin e Dmitri Medvedev. Ma il loro arresto manda su tutte le furie il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov. «Stiamo parlando di cittadini russi arrivati negli Stati Uniti in momenti diversi che non hanno commesso alcuna azione diretta contro gli interessi americani - ha spiegato Lavrov -, che poi definisce gli arresti «infondati» e «biasimevoli». Nella vicenda è intervenuto anche il premier Vladimir Putin: «La polizia americana è andata fuori controllo, scaraventando persone in carcere: spero che quanto sta accadendo non danneggi i progressi raggiunti nelle nostre relazioni». Una risposta è arrivata subito dal dipartimento di Stato: ci sono stati miglioramenti nei rapporti, nonostante gli arresti, «andremo avanti per questa strada».
Comunque sia la storia di questi undici uomini e donne venuti del freddo, otto dei quali sposati tra di loro con prole, sembra uscita dalle pagine di «Chiamata per il morto» o di «Tutti gli uomini di Smiley». Nell’era dello spionaggio satellitare gli undici russi travestiti da americano medio nascondevano borse di dollari sotto l’erba del giardino, si scambiavano lettere nei parchi, utilizzavano l’obsoleto linguaggio morse per i messaggi in bassa frequenza al centro di controllo di Mosca. Anche per questo forse l’intelligence americana li teneva sott’occhio da tre lustri; l’Fbi perquisiva regolarmente le loro abitazioni, intercettava le loro comunicazioni e non perdeva una loro mossa da sette anni. Eppure questo spionaggio vecchia maniera qualche frutto l’ha dato.
Gli undici figli del Kgb si sono infiltrati nel cuore dell’America, si sono mescolati alla sua società, ne sono diventati perfetti e indistinguibili protagonisti. Prendiamo l’affabile Donald Heathfield e la sua graziosa mogliettina Tracey Foley definiti da amici e colleghi una insospettabile coppia di successo. L’Fbi negli ultimi anni ha seguito la nascita dei loro due figli oggi adolescenti. Ha controllato il loro trasferimento in una villetta da 900mila dollari a Cambridge nel Massachusetts. Ha seguito i successi di Donald e della sua Global Partners Inc., società di consulenza aziendale con contatti al Pentagono e al Massachusetts institute of technologies. Eppure il monumentale dossier su Tracey e Donald non consente di far luce sulla vera identità di quell’uomo e quella donna selezionati dai vecchi maestri del Kgb per ingannare l’America. Il vero signor Heatfield, quello di cui Donald ha assunto l’identità, era un anonimo cittadino canadese passato a miglior vita quando la talpa s’è infiltrata negli Stati Uniti. Grazie all’antico e sperimentato metodo gli investigatori americani si ritrovano a indagare su autentici fantasmi, spie senza passato generate da quell’universo della simulazione indispensabile per sviluppare l’arte della guerra. Una guerra sfrontata e maleducata, ma indispensabile per trafugare i segreti dell’avversario. Gli arresti arrivano poche ore dopo la visita negli Stati Uniti del presidente russo Medvedev. Con quella mossa Washington fa capire di conoscere le attività clandestine di Mosca e gli sforzi dispiegati per raccogliere «dati riservati sugli arsenali nucleari». Una missione descritta con chiarezza in un messaggio intercettato partito dal quartier generale dell’intelligence russa. «Siete negli Stati Uniti per una missione di lunga durata, il vostro addestramento, i vostri conti, le vostre case e i vostri beni servono a un unico scopo, penetrare i circoli politici americani e raccogliere informazioni». Il vero interrogativo è, però, quante siano le talpe ancora impermeabili a ogni controllo.
«L’ampiezza della rete - ha commentato Oleg Kalugin, l’ex super spia colonna negli anni 70 di
tutte le attività del Kgb negli Stati Uniti – è una vera sorpresa: sembra di esser tornati ai vecchi tempi, ma con una grossa differenza perché allora non riuscimmo mai a infiltrare tanti agenti nel cuore dell’America».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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