Ha recitato con i più grandi maestri della nostra scena. Ha interpretato celebri film italiani e stranieri. È stata paragonata alla divina Eleonora Duse. Ha lavorato accanto a colleghi illustri come Ermete Zacconi, Tino Carraro, Giulia Lazzarini, Rossella Falk. Ha segnato la storia del teatro italiano con lintensa Nina di El nostro Milan di Bertolazzi, la sciagurata Margherita de Il gioco dei potenti di Shakespeare, la dolente Ilse de I Giganti della Montagna di Pirandello e - tanto più - con quellumanissima e vibrante Liuba tutta aria e biancore che Strehler fece rivivere nel suo felice allestimento de Il giardino dei ciliegi di Cechov (era il 74). E questi sono solo alcuni dei titoli che ci vengono in mente pensando a Valentina Cortese, elegante regina dei palcoscenici italiani che, in oltre sessantanni di fulgida carriera, non ha mai smesso di regalare al pubblico leggiadria e profondità, mestiere e poesia, fascino e intelligenza, confortata dalla sincera convinzione che le battute, le emozioni, le pause annidate nei testi vadano rispettate per quello che sono e al contempo rese luminose e comprensibili attraverso il corpo, la voce, il sorriso: il fluido divenire e trasformarsi di cui ogni grande attore è capace. Non è infatti un caso che, malgrado sia stata alle prese con decine e decine di impegni professionali diversi, la Cortese, oggi ultraottantenne, abbia sempre tenuta viva la sua passione per la scrittura in versi, per la lirica antica e moderna, per i poeti dalla parola potente, alta, musicale, viscerale. E se già alcuni anni fa abbiamo avuto modo di apprezzarla in un recital allEliseo dedicato al Magnificat di Alda Merini, adesso lattrice lombarda torna nella capitale (lunedì al Quirino) con un monologo che annoda insieme quella stessa opera dellautrice di Delirio amoroso alla voce di un altro straordinario intellettuale milanese, Giovanni Testori (che tra laltro proprio per la Cortese scrisse Erodiade), la cui silloge LAmore dà il titolo allintera serata. Levento, proposto in unica data, è il frutto di un lungo lavoro condotto insieme con il regista Fabio Battistini che spiega: «La contrapposizioni di due voci così diverse eppure complementari del Novecento, di questi due grandi solitari, innamorati della vita, ci permette un viaggio iniziatico e struggente».
Viaggio che, scandito dai versi nudi della Merini e dal commento musicale di arpa (Donata Mattei) e violoncello (Marcello Moretti) studiato per Testori, vuole essere innanzitutto un affondo dentro la lingua, dentro la fisicità delle parole, ma anche dentro le allucinazioni, le inattese epifanie, il folle rapimento estatico di cui queste stesse parole sanno essere espressione. Viaggio, in definitiva, che racconta con raffinata semplicità quanta forza ci sia nellamore quando questo si traduce in parola teatrale. Da non perdere.
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