Signor Sannino, ci spieghi lei chi è Giuseppe Sannino.
«Uno come tanti, uno che ha fatto di questo mestiere la propria vita, una persona seria e senza grilli per la testa. Ho smesso di giocare a 31 anni e poi per un decennio ho lavorato in ospedale impegnandomi anche nei settori giovanili».
E adesso come si sente con il neopromosso Varese vittorioso sulla Reggina e al quarto posto?
«Come il Sannino di tre anni fa, quello che in partenza di stagione ha sempre e solo lobiettivo di vincere il campionato».
Lei ha giocato e allenato sempre in piccoli club di provincia. Come mai?
«Sono felice di quello che ho fatto, non butto via niente. Sono fatalista, non ambizioso né vanitoso e conscio dei miei limiti. Faccio il giusto per avere una vita normale anche perché il mio motto è trovare lavoro. Nessuno mi ha mai regalato niente, ma sono io che devo ringraziare tutti i giocatori che ho avuto, dai bambini ai professionisti, perché sono loro i veri protagonisti che mi rendono bella la vita».
Con Lecco, Pergocrema e Varese nelle ultime 4 stagioni ha ottenuto 3 promozioni in C1 e poi col Varese subito in serie B e ora quarto. Qual è il suo segreto?
«Un mio amico mi dice che è tutto calcolato quello che faccio. Io sono sempre me stesso, uomo vero e sincero, non bleffo, non gioco a fregare la gente. Purtroppo dico sempre quello che penso e in passato ho pagato questo mio modo di essere».
A 53 anni suonati insegue la notorietà. Non le sembra di essere datato e un po in ritardo sui tempi?
«La fama non mi interessa, si nasce con qualcosa di speciale dentro che poi serve negli anni. La mia filosofia si chiama lavoro sia in un cortile, in una borgata, in un bar o in un circolo ricreativo. O in una squadra come il Varese, anche se non in grandi città. Ammiro le persone che non si accodano e cantano fuori dal coro. Io accetto di essere me stesso e mi reputo fortunato perché sono padre di Simone e Sara e nonno di Matteo».
Ha qualche allenatore a cui si ispira?
«Da giovane allo scomparso Natale Surra che mi teneva spesso in panchina. Ma anche Oscar Massei e Giorgio Veneri hanno rappresentato tanto».
Sannino dei miracoli o Varese dei miracoli?
«Io non centro, è la società che è stata lungimirante coi presidenti Montemurro e Rosati e il ds Sogliano. La squadra è formata da onesti lavoratori, gente che non ha bisogno dei riflettori. I miei giocatori li chiamo minatori perché lavoriamo nellombra e con la partita usciamo al sole. Ho un gruppo di ragazzi semisconosciuti che si sono sempre messi in discussione, lavorano e hanno grandi valori morali. A me le prime donne non sono mai piaciute».
Il Varese può continuare a sognare?
«Sì, tutti insieme: società, squadra, i tifosi che sono la nostra forza, la città, lumiltà di tutti. Noi siamo quelli che si trovano allo stadio col sorriso sulle labbra e mi fa piacere vedere i tanti giovani che ci seguono. E ricordiamoci sempre da dove siamo partiti».