Vassalli, le raggelanti allegorie di un antiborghese

Nel suo ultimo libro lo scrittore abbandona il passato e affronta con occhio impietoso la contemporaneità

Il lettore non tema, il Marx cui si accenna nel titolo dell’ultimo libro di Sebastiano Vassalli (La morte di Marx e altri racconti, Einaudi, pagg. 187, euro 16,50) non è il filosofo del Capitale. È solo il nomignolo, affibbiato per via della barba candida, di un personaggio, un intellettuale di lingua tedesca nemmeno comunista, trasferitosi sulla riviera ligure per amore dell’Italia e assassinato al termine di una burrascosa relazione omosessuale. Nella silloge, per la prima volta, Vassalli congeda il passato più o meno remoto nel quale erano ambientati i precedenti romanzi e si rivolge alla contemporaneità, della quale dà una lettura opinabile ma chiara, trasmessa sotto forma di raggelanti allegorie.
In Morte di un commesso viaggiatore un cadavere è rinvenuto tra le carcasse dell’immane sfasciacarrozze che si apre sotto un viadotto. Il corpo, ridotto ormai ad un mucchio di ossa e stracci, giace nell’abitacolo di un’automobile. Quando gli autori della lugubre scoperta alzano gli occhi in direzione dell’autostrada, ricordano che mesi addietro qualcosa aveva divelto un tratto del paracarro. Tessera dopo tessera si ricompone il mosaico della tragedia: l’uomo, dopo aver sfondato la protezione, sarebbe morto precipitando sulle altre macchine. Grazie ai documenti si riesce a risalire ai congiunti e a ricostruire le sue ultime ore. Per accorgersi che il decesso, lungi dall’essere bizzarro, calza invece perfettamente ad un’esistenza che si intuisce essere stata non meno grigia e inavvertita della sua tragica conclusione.
Nel racconto Una famiglia va al mare un uomo sistema sul portapacchi la carrozzina della bambina più piccola. La moglie dà un’occhiata distratta, gli chiede se non sia il caso di legarla meglio. Il marito la rassicura, è legata benissimo. Pochi minuti dopo, in autostrada, la carrozzina si stacca, vola, si abbatte su un’altra automobile. La vettura colpita frena e si mette di traverso. Un attimo dopo si odono uno, due, cinque schianti, poi nello specchietto retrovisore appaiono le fiamme e la colonna di fumo. La nostra famigliola ha provocato uno spaventoso incidente. Lui vorrebbe immediatamente chiamare i soccorsi, la polizia o il 118: «Sono io che ho causato tutto. Sono un assassino». La donna glielo impedisce: «Ormai il disastro è successo. L’unica cosa che ci resta da fare, per il bene nostro e dei nostri figli, è andare via da qui il più in fretta possibile». Quando il senso di colpa sarà svanito la ringrazierà: «Se non ci fossi stata tu, avrei commesso qualche grossa sciocchezza». Straordinario Vassalli: nessuno aveva mai fotografato tanto efficacemente il familismo amorale, l’oscena leggerezza con cui in Italia, per «il bene dei nostri figli», si condannano a morte i figli altrui.
Discutere la posizione ideologica dell’autore e la sua intrinseca ambiguità, il suo addio alla modernità e contemporaneamente la sua scrittura assolutamente moderna, il cupo vaticinio sul presente e la protesta verso la piccolezza umana porterebbe troppo lontano.

Per farla breve: crediamo che le «civili intolleranze» di Vassalli siano un sintomo non di misantropia bensì di virtù antiborghesi. Recita un celebre aforismo di Adorno: «Il borghese è tollerante: l’amore che prova per l’uomo così come esso è gli viene dall’odio che prova per l’uomo così come dovrebbe essere».

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