Vaticano contro il calcio: "La partita delle 12,30? Un'invasione di campo"

La Chiesa critica il nuovo orario della partita della domenica in serie A: "Il fischio d'inizio alle 12,30 è deleterio per le famiglie. Religione da tutelare". Ma i vescovi sono divisi

Vaticano contro il calcio:  
"La partita delle 12,30? 
Un'invasione di campo"

Il problema non è di semplice risoluzione: che cosa è più sacra alla domenica? La santa messa o la partita di pallone? Il dubbio poco amletico riguarda il popolo italiano tutto, quello che era abituato, una volta, a conciliare i due appuntamenti, al mattino in chiesa, al pomeriggio allo stadio, intervallati dall’acquisto del quotidiano e delle figurine all’edicola e dalla visita in pasticceria per dolciumi e bottiglia di spumante. Ma adesso bisogna scegliere, facendosi il segno della croce. Il famoso «spezzatino» disturba e cambia le buone abitudini domenicali, alle ore dodici e trenta la messa è appena finita ma la partita va ad incominciare, ergo delle due l’una, o si va in chiesa con la tromba e la bandiera per poi svignarsela di corsissima in curva oppure si diserta la trinità e si sceglie il quattroquattrodue. Non è roba da poco per un paese tutto casa, chiesa e pallone. Finito il tempo degli oratori, dove almeno si serviva messa dopo aver giocato sul campo polveroso del cortile sotto il campanile, ecco il tempo dei calendari, poco gregoriani. Il business manda a ramengo riti e cerimonie, diventa complicato sposarsi a quell’ora lì del calcio d’inizio, anche le comunioni debbono slittare a data da destinarsi, facendo attenzione alla champions e alla tim cup che hanno le loro scadenze. Non c’è più religione, si usa dire, e mai come in questo momento l’affermazione è come il cacio, anzi il calcio sui maccheroni. Ormai si gioca sempre e comunque, di pomeriggio, di sera, all’ora di pranzo, non c’è giorno vacante della settimana, sono in evidente crisi i calendari con le pupe ignude, vanno come il pane i calendari della stagione agonistica, consultati continuamente per non perdere di vista la partita giusta, all’ora sbagliata. La religione arretra, nonostante le forme di esibizionismo dei prodi calciatori, vedi la croce tatuata sul petto e sul braccio di campioni e brocchi uniti nell’epigrafe, il crocefisso al collo su lacerti poderosi, quelli che prima e dopo un gol si segnano come all’ingresso in basilica, quelli che rivolgono lo sguardo al cielo non per vedere se piova ma per ringraziare il Signore o simile, insomma un esercito di pellegrini nel santuario detto stadio. Ma non serve, non basta, il business prevale sulla fede. La famiglia si divide, la multivision non è soltanto una formula commerciale proposta da alcune emittenti, è diventata proprio una forma di esistenza quotidiana, di qua il padre, di là la madre, di sopra il figlio, di sotto la sorella, al momento del pranzo o della cena scatta l’ora X: spaghetti o calcio d’inizio? Rita Pavone, lo segnalo ai contemporanei, cantava «perché perché la domenica mi lasci sempre sola per andare a vedere la partita, di pallone?». Erano i favolosi anni Sessanta (per l’esattezza millenovecentosessantadue), la tivvù si limitava a resoconti serali e prenotturni, la radio lasciava sognare e immaginare, la chiesa aveva i suoi bravi e buoni fedeli, lo stadio anche, non era il caso di sveltire la messa, c’era tempo per tornare a casa, pranzare e quindi andare alla partita, senza fidanzata o moglie. Adesso la giornata è piena, gli stadi semivuoti, la Chiesa protesta non tanto per l’orario ma per l’invasione di campo, di sacrestia, di casa, una specie di hooliganismo organizzato e autorizzato, invece di rompere le vetrine si sgretolano le famiglie e le sacre abitudini. Comunque anche in Vaticano i pareri sono discordanti, c’è la curva nord, per voce di monsignor Carlo Mazza, già direttore dell’ufficio nazionale della conferenza episcopale, che censura il calendario spalmato e la curva sud per voce di don Alessio Albertini che invoca la coscienza e il buon senso personale di ogni fedele.

Dietro questo parere si cela, tuttavia, un conflitto di interessi, Alessio è fratello di Demetrio, già campione del Milan e oggi vicepresidente della federcalcio. Non c’è più religione. Al grido di viva il parroco ognuno farà come vorrà, tanto il Signore, dall’alto dei cieli, non avrà bisogno della prova tivvù.

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