
La prova definitiva della macchinazione ordita contro il cardinale Angelo Becciu al processo sui fondi della Santa Sede è in un pugno di messaggini che il Giornale ha scovato nelle migliaia di pagine del dossier depositato all’Onu dal finanziere londinese Raffaele Mincione, dal quale emergerebbe che Francesca Immacolata Chaoqui e Genevieve Ciferri, assieme a monsignor Alberto Perlasca e al commissario della Gendarmeria Stefano de Santis (inguaiato da un file audio) avrebbero confezionato un memoriale offrendo le coordinate per accusare e condannare l’alto prelato. Le chat citano spesso anche il Promotore di giustizia vaticana Alessandro Diddi che, tuttavia, ha sempre negato un suo coinvolgimento diretto.
Facciamo un po’ d’ordine. Becciu è stato condannato a cinque anni e sei mesi per la presunta "malagestio" dei fondi della Santa sede, nell’ambito di una indagine che ha ricompreso anche la famosa compravendita di un palazzo a Londra (che h visto il cardinale assolto). L’indagine però era partita da cinque funzionari vaticani, tra cui il direttore dell’Authority antiriciclaggio Tommaso Di Ruzza, poi aveva investito Perlasca.
È lui che per 11 anni è stato a capo dell’Ufficio che curava gli investimenti della Segreteria di Stato vaticana, è lui che conosce come i fondi tra cui l’Obolo di San Pietro sono stati utilizzati per investimenti immobiliari come il palazzo londinese di Sloane Avenue a Chelsea per 200 circa milioni di euro.
Il 18 febbraio 2020 gli vengono sequestrati documenti e pc, perde cariche, poteri, beni e stipendio. Ma nel giro di pochi mesi la sua posizione si ribalta: Perlasca da accusato diventa testimone innocente. Il 31 agosto del 2020 firma un memoriale contro Becciu che diventerà la colonna portante delle accuse, preceduto da una testimonianza non richiesta ma spontanea della Chaoqui, tanto che quando viene fuori il cardinale resta sconcertato e decide di denunciarla «dopo le gravissime e completamente false dichiarazioni rilasciate al Promotore di Giustizia», fascicolo di cui non si è saputo più nulla.
Il 19 novembre 2021 Perlasca viene scagionato su richiesta del Promotore dal giudice istruttore vaticano Paolo Papanti Pelletier perché «non è emersa l’esistenza di profili corruttivi a lui addebitabili». Ovvero, è stato «negligente» ma «non c’è prova di una sua consapevole, e dunque dolosa, compartecipazione alle numerose operazioni fraudolente accertate ma anzi sarebbe stato «sottoposto ad una fortissima pressione psicologica» da parte del broker Gianluigi Torzi per far andare in porto l’operazione. Una ricostruzione singolare, con Becciu condannato per il placet a operazioni proposte dal capo ufficio privo di responsabilità penale.
Ma la logica quando si parla della condanna del cardinale Becciu deve fare un passo indietro. Tra il 24 e il 26 novembre 2022 Perlasca viene interrogato in aula dai legali del cardinale e cade più volte in contraddizione, afferma cose a tratti implausibili, si rifugia in molti «non ricordo». Il più singolare riguarda la manina che gli riferì determinate circostanze e la successione degli eventi. Un guaio per la sua attendibilità, visto che la «spontanea» accusa di Perlasca è il fiore all’occhiello sull’abito da cerimonia indossato dagli inquirenti. «Nulla di quanto dichiarato finora, fra ampie reticenze e numerose amnesie, riscontra le ipotesi d’accusa», dissero al termine dell’udienza gli avvocati difensori di Becciu Fabio Viglione e Maria Concetta Marzo, dopo la conferma della partecipazione di più persone alla narrazione preconfezionata. Incalzato, Perlasca chiede di rinviare l’ultima parte del suo controinterrogatorio al 1 dicembre. Ma il nome del «suggeritore» non viene mai pronunciato.
È nella notte del 26 novembre 2022 che la Ciferri invia sul cellulare del Promotore Diddi i famosi 126 messaggi estrapolati da una chat. Ma prima del ritorno in aula di Perlasca, sul cellulare dello smemorato testimone, arriva un messaggio sibillino della Chaoqui: «Mi faccia sapere, il mio interesse e penso quello comune è che il mio supporto non emerga processualmente perché sarebbe difficile da spiegare soprattutto nelle conseguenze che ha avuto». Perlasca sembrerebbe non abboccare alla richiesta al punto che il giorno della sua nuova testimonianza lo mostra in aula e lo deposita (riversato su una mail...).
Quando il 1 dicembre viene fuori la chat tra Diddi, Ciferri e Chaoqui (che è lo stesso Promotore a depositare, tra lo stupore generale) su 126 messaggi solo otto sono in chiaro. E presto bisognera capire perché. Il Promotore balbetta qualche scusa, si chiama fuori da qualsiasi ruolo nella vicenda, dice che è necessario svolgere attività «per riscontrare da dove provenisse il “memoriale” di Perlasca», pensa di aver capito che «il “suggeritore” di certi temi era appunto la Chaoqui tramite la Ciferri e un “anziano magistrato”», sottolinea che se anche Perlasca avesse detto il falso tutto ricadrebbe «nella non punibilità, avendo lui chiarito la precedente versione» e alla fine chiede di interrogare le due donne «insieme, per evitare reciproci condizionamenti». La solidarietà manifestata a Diddi da parte di qualche avvocato per i sospetti e le insinuazioni su un possibile depistaggio o coinvolgimento non lo toglie dai guai né dalla voglia di cercare la verità. La difesa di Becciu chiede di rivelare gli omissis ma Diddi insiste: «Altri accertamenti non servirebbero» tanto è in corso un’indagine del Promotore. Non è lui il titolare del fascicolo, ci tiene a precisare, ma dei messaggi della Ciferri a Diddi in piena notte nulla si sa più.
I messaggini in mano al Giornale ricostruiscono cosa accadde successivamente. Le due donne vengono interrogate separatamente ma nello stesso giorno, il 13 gennaio 2023. La Chaoqui nega qualsiasi macchinazione né spiega ciò che scrisse a Perlasca per evitare di rivelare il suo nome, la difesa di Becciu la incalza («Si riferiva forse alla archiviazione di Perlasca ed alla incriminazione del cardinale Becciu?») ma il presidente del Tribunale, Giuseppe Pignatone, è perentorio: «La domanda non è ammessa, ha risposto, questa è una sula illazione e ce la illustrerà in sede di arringa».
Ma dalla lettura delle chat in mano al Giornale si capisce bene che non era affatto un’illazione. Siamo al 14 maggio del 2024 e la Ciferri, amica personale di monsignor Perlasca, la donna che ha tanto insistito perché il suo sodale venisse «salvato» dalle accuse, riceve una convocazione dal Promotore di Giustizia. Deve presentarsi il 4 giugno. Cosa fa? Inoltra la convocazione alla Chaoqui e chiede lumi. Arriva la risposta: «Bisogna capire cosa devi dire... per evitare che le chat (quelle inviate a Diddi il famoso 26 novembre 2022) siano considerate attendibili ove mai si decidesse di desecretarle... perché in questo caso avrebbe ragione Becciu... va disinnescata la bomba... capiamo». Poi il sibillino messaggio: «Fammi consultare un attimo...». Con chi? Non lo sappiamo. Ma la Ciferri replica a muso duro, sostenendo che sarebbe difficile sostenere la prova del complotto contro Becciu e ammette di aver manifestato dei dubbi al Promotore Diddi. Poi tira in ballo Papa Bergoglio «che non può essere smentito», scrive che la Chaoqui gli ha parlato e che tutto viene fatto «per il bene della Chiesa».
La Ciferri non ha neanche idea su cosa dovrà testimoniare, dice alla Chaoqui che lo scopriranno i suoi avvocati. Ma la Papessa, incredibilmente, lo sa già. Si parlerà delle chat tra di loro, omissate e secretate dal Promotore, «devono chiederti se ti ho promesso qualcosa affinché Perlasca parlasse... e chiederti se utilizzavo il nome del Promotore per farti paura». Chi è che imbecca la Chaoqui? Come fa a sapere su cosa verrà interrogata la Ciferri? Che c’entra il Promotore? «Il fascicolo va chiuso prima dell’appello di Becciu», si raccomanda la Papessa, «ragione per cui devi essere ascoltata». Chiudere il fascicolo delle chat omissate vuol dire negare a Becciu l’accesso ad atti che dimostrerebbero la macchinazione contro di lui. «Se dicono che ti minacciavo», chiameranno anche me, fa capire la Chaoqui. «Se dici che eri confusa, preoccupata per Perlasca finisce là». Altrimenti il rischio è che «può sembrare che la sua testimonianza non sia genuina», e questo farebbe saltare il banco. La Ciferri allora scrive: «Pensi davvero che il Promotore Diddi arriverebbe al punto di farti indagare?». Ed arriva il colpo finale : «Qua lo scopo non è proteggere me - insiste la Chaoqui - ma evitare che Becciu sia assolto in appello».
Una illazione anche questa? Certamente un obiettivo dichiarato, una finalità perseguita e messa nero su bianco, ancora nei messaggi, come le mollichine di Pollicino. E oggi la vicenda si complica ancora di più. Sappiamo da alcuni giorni che Mincione ha chiesto al Promotore di procedere contro la Chaoqui per falsa testimonianza (come ha anticipato, lo scorso maggio, il Giornale) sappiamo che esistono anche altre due ipotesi, la subornazione del teste Perlasca e il traffico di influenze illecite per uno scambio di denaro dalla Ciferri alla Chaoqui per l’aiuto nella vicenda, come ha rivelato il Tg1.
Alla presunta macchinazione avrebbe preso parte anche il commissario della gendarmeria vaticana Stefano de Santis? La Chaoqui nella sua deposizione del 13 gennaio 2023, sotto giuramento, ha negato qualsiasi rapporto con lui: «Mai parlato con de Santis, se qualcuno ha le prove le tiri fuori». Il 9 marzo 2023 anche De Santis aveva smentito qualsiasi contatto con la donna, sotto giuramento. Ma un audio di cui ha parlato Il Domani, in possesso di Mincione e della durata di 77 secondi, inchioderebbe entrambi. Secondo la denuncia presentata in Vaticano contro De Santis, infatti, nell’audio il gendarme vaticano avrebbe spiegato alla Chaoqui come orientare la testimonianza di Perlasca al processo contro Becciu. Gli avrebbe dato suggerimenti. Ma è possibile?
L’appello contro la condanna è fissato al 22 settembre prossimo. C’è chi ritiene che il Papa potrebbe intervenire con un provvedimento di clemenza nei confronti del prelato sardo, autoesclusosi dal Conclave in ossequio a due presunte lettere firmate da Papa Bergoglio, l’ultima lo scorso marzo mentre era in ospedale in condizioni di salute alquanto precarie, missive su cui più di un cardinale del Collegio pre Conclave ha espresso diverse perplessità per come erano scritte (una in spagnolo, lingua inconsueta per il Papa) e una firmata con la «F» senza il punto.
Becciu non ha mai chiesto clemenza ma verità, proclamando la sua innocenza.