Veleni e sospetti, scatta il «repulisti» nella Finanza

Promoveatur ut amoveatur. Rimosso e promosso anzitempo il generale di divisione Mario Adinolfi, capo di Stato maggiore della Guardia di finanza, indagato per favoreggiamento e rivelazione di segreti d’ufficio, intercettato mentre parlava con Berlusconi, amico di Gianni Letta e nemico giurato dell’ex collega onorevole Marco Milanese (e del ministro dell’Economia). Lascia dunque la prestigiosa poltrona al comando generale la presunta «talpa» che - a detta dei pm - attraverso un percorso tortuoso, passato per una cena con Pippo Marra dell’Adn Kronos, avrebbe informato dell’inchiesta sulla P4 il mai conosciuto lobbista Luigi Bisignani. Adinolfi, oggi, mastica amaro. Incassa l’avanzamento di grado e di carriera che lo porterà a guidare l’interregionale di Firenze ma vede accantonare, per il momento, la speranza di una rapida scalata al vertice dell’Arma grigioverde. Se ne va contro la sua volontà, visto che l’interessato, a più riprese, aveva fatto intendere di non aver alcuna intenzione di uscire scena come il tam tam mediatico lasciava invece presagire dopo la pubblicazione dell’interrogatorio del braccio destro di Giulio Tremonti che identificava in Adinolfi il capocordata delle fiamme gialle che avrebbe remato contro il ministro cercando «cose compromettenti» sul modello Boffo.
Parcheggiato altrove, all’«Ispettorato per gli istituti di istruzione a Roma» (sede di ripiego anche se, per tradizione, passaggio obbligato per ricoprire l’incarico di «comandante in seconda») anche il generale Vito Bardi dell’interregionale di Napoli, indagato pure lui da Woodcock, che ha confessato agli inquirenti d’aver messo al corrente delle indagini sulla P4 la scala gerarchica. E per questo motivo Bardi è stato duramente «redarguito» a verbale da due storiche figure della guardia di Finanza, due ex capi di Stato maggiore: il generale Paolo Poletti, oggi ai servizi segreti dell’Aise, e il generale di corpo d’armata Emilio Spaziante, comandante dell’interregionale del centro Italia, da sempre considerato vicino a Tremonti ma stranamente e momentaneamente «retrocesso» al non proprio prestigioso Comando Aeronavale Centrale, posto da generale di corpo d’armata comunque utile per la corsa alla successione del comandante generale della Gdf, Nino Di Paolo. Il quale, al termine di un incontro a quattr’occhi col ministro Tremonti, ieri ha motivato l’avvicendamento dei suoi uomini migliori spuntati a vario titolo nelle indagini napoletane, «alla luce dei nuovi criteri di impiego degli ufficiali generali volti a garantire una migliore funzionalità nonché ad evitare potenziali criticità nella gestione dei comandi».
Al posto di Adinolfi arriverà il sottocapo Edoardo Valente, stimatissimo ufficiale non inquadrabile in alcuna delle presunte cordate dei baschi verdi paventate dalla magistratura, che lascerà il testimone al generale Sebastiano Galdino. Il collega Marcello Gentili passa invece dal comando interregionale di Firenze all’interregionale di Roma mentre un fedelissimo di Tremonti, il generale Vincenzo Delle Femmine, lascia l’incarico di vice capo di gabinetto del ministro dell’Economia per andare a guidare il comando interregionale di Milano.
Il «repulisti» in casa Gdf si presta a molteplici letture.

Tra i finanzieri, pro o contro Adinolfi, pro o contro Milanese (e Tremonti) prevale quella del «gesto dimostrativo» pensato e pianificato dai vertici del Corpo per dare un triplo segnale di distensione: al ministro di riferimento, che si è sentito tradito da uno dei generali di più alto livello vicini al premier e al suo entourage, e che stavolta è intervenuto ancor più a gamba tesa di quanto fece nel 2001 quando si adoperò personalmente per rimettere a posto le gerarchie della finanza poi dilaniate dalla guerra fra il generale Speciale e il ministro Visco qualche anno più tardi; alla magistratura, che voleva un gesto chiaro e che non molla l’osso sulla P4 e su Milanese continuando a puntare sul generale Adinolfi, finito nel mirino anche dei pm di Milano per la presunta soffiata a Mediolanum su un’imminente verifica fiscale; all’opinione pubblica, che ormai s’è fatta l’idea di una guerra per bande interna alla Gdf in vista della nomina del nuovo comandante generale e che dunque va tranquillizzata intervenendo su quegli ufficiali spuntati qua e là nelle inchieste che rientrerebbero in quelle famose «cordate» guidate dai papabili alla successione del generale comandante Nino Di Paolo.

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