Venghino signori venghino al fantastico «Luna-Pac»

La follia è una discreta strategia per sopravvivere alla vita. Unita all’arte, può addirittura rivelarsi vincente. Follia e arte sono i due poli tra i quali ha steso la corda e si diverte a passeggiarci sopra, funambolico incosciente e mente iperbolica, Luigi Serafini, classe 1949, creatore di mondi e intellettuale polimorfo: pittore, designer, illustratore, scrittore, a suo modo filosofo. Vive diviso tra Milano e Roma (gli piace dire che abita in una città immaginaria dove via del Tritone sbuca in piazza Cordusio) e tra surrealismo e irrazionalità.
Architetto laureatosi al Politecnico nel ’77, all’inizio collabora con diversi studi e partecipa come designer alle mostre del Gruppo Memphis di Ettore Sottsass. Nella sua lunga e labirintica carriera ha creato opere grafiche straordinarie, ha lavorato nel campo dell’architettura, del disegno industriale, del teatro e del cinema, come quando per Federico Fellini firmò la locandina di La Voce della luna. Ha girato mezzo pianeta (negli anni Settanta viaggia per le Americhe, l’Europa, il Medio Oriente e l’Africa equatoriale), ha scritto racconti e sceneggiature. Si è messo in testa fin dall’inizio, riuscendoci peraltro molto bene, di stupire. E il suo talento bizzarro, borgesiano ed eclettico, l’ha aiuto parecchio, fino a far innamorare dei suoi lavori mercanti d’arte, critici e scrittori, a partire da Italo Calvino fino ad arrivare (che non è poco) a Vittorio Sgarbi, il quale presentandolo alla Biennale di Venezia del 2003 l’ha elogiato quale «impareggiabile miniatore e instancabile artigiano, in bilico tra Leonardo da Vinci ed Eta Beta».
Suggestionato da una pletora di artisti-sognatori che vanno da Hieronymus Bosch a Jeff Koons, da Rabelais a Kafka, Luigi Serafini ha prodotto moltissimo nella sua vita - disegni, sculture, pitture, installazioni - ma la cosa più straordinaria e insolita che gli è capitato di fare è stato tra il 1976 e il 1979, quando aveva neppure trent’anni. Mentre fuori l’Italia di piombo spara pallottole e proclami, lui si chiude nella sua casa romana di piazza di Spagna e utilizzando tutto il materiale accumulato da studente quando ricopiava immagini da libri, enciclopedie e giornali, compone l’ormai leggendario Codex Seraphinianus, sorta di «manoscritto di Voynich» in caratteri postmoderni, ossia un libro-enciclopedia formato da oltre 300 tavole e migliaia di disegni che illustrano mondi e pianeti fantastici, tra zoologia aliena e botanica extraterrestre, geografia utopica e araldica ucronica, il tutto commentato in una lingua inesistente. Il libro fu pubblicato nel 1981 da un editore altrettanto irregolare come Franco Maria Ricci, fece (s)parlare i critici, costruì la fortuna di Serafini e divenne un oggetto di culto.
Ora, per la prima volta, un centinaio di quelle tavole originali sono esposte al pubblico insieme a una serie di altri lavori di Serafini in una mostra «ontologica» al Pac dal titolo Luna-Pac Serafini. Un titolo perfetto pensando all’universo serafiniano, un po’ luna park un po’ Paese delle Meraviglie: un mondo ibrido, come i soggetti dei suoi disegni, e culturalmente meticcio, come la Milano dove ha deciso di fare base per il suo studio, quella di corso Buenos Aires. Al Pac, accanto alle oniriche tavole del Codex, ci saranno quadri e repaintings digitali, fotografie e installazioni life-size: cervi dalle corna luminose, mangiatori di luce blu, donne-carota, un autoritratto in forma di uovo («I am an egg-centric») e fantasticherie varie. Anche se alla fine, il vero oggetto misterioso, rimane lui.

Luigi Serafini, lovecraftiano Maestro dell’Altrove, incatalogabile artista senza codice.
LUNA-PAC Serafini, Pac (via Palestro 14), da domani al 17 giugno; orari: 9.30-19; chiuso lunedì. Biglietto: 3 euro. Info: 02-76009085.

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