Venticinque anni fa lo sparo di Agca ma l’ordine di uccidere partì da Mosca

Ieri, 13 maggio, 25° anniversario dell'attentato a Giovanni Paolo II, l'Osservatore romano e Avvenire, i quotidiani cattolici più rappresentativi, hanno ricordato l'evento con sobrietà. Il quotidiano vaticano ha solo una foto, Avvenire punta sui fatti sovrannaturali - tanti davvero - che precedono, accompagnano e seguono le revolverate di Agca.
La pietra rossa nel selciato di San Pietro, nel punto dell'attentato, è stata sostituita da un marmo con insegna pontificia e una data, 13 maggio 1981.
Il giorno della Madonna di Fatima, 13 maggio, deve ricordarsi come il giorno dell'apparizione e non costringere la Chiesa a oscurare Maria per ricordare Ali Agca. Non è omertà. Proprio Avvenire, il 19 aprile 2005, giorno di insediamento di Benedetto XVI, additò i committenti sovietici, che si erano serviti degli agenti segreti bulgari e tedesco orientali. Agca? Una pedina, null'altro.
Sulla saggezza della Chiesa vi è chi specula, sibilando di responsabilità vaticane e trascurando che in Italia dal dopoguerra si è sviluppata una rete di agenti sovietici, poggiata alle strutture clandestine del Partito comunista italiano. Aldo Moro, prima ancora di Giovanni Paolo II, incappò in tali maglie.
Così le conclusioni della commissione parlamentare presieduta da Paolo Guzzanti, che hanno vasta eco all'estero e - chissà perché - velenosa censura in Italia. Ma qualcosa si muove, inesorabile. L'Istituto nazionale della memoria di Varsavia, per esempio, ha aperto un'inchiesta sull'attentato, muovendo dalla relazione Guzzanti e dalla foto, sottoposta a una perizia impossibile ai tempi dell'attentato, che certifica la presenza di Sergei Antonov accanto ad Agca mentre spara.
Impossibile riassumere tutti i depistaggi, rimane una verità: l'Urss voleva uccidere il Papa.
Tutto cominciò col primo viaggio in Polonia di Giovanni Paolo II. Leonid Breznev ben presto capì che Wojtyla era l'unico leader riconosciuto dei polacchi. A dispetto del regime comunista, a milioni plaudivano il loro Papa. Il Gru (Glavnoe Razvedyvatel'noe Upravlenie), il Primo direttorato di Intelligence, alle dipendenze dello Stato maggiore sovietico, si mise in moto per rimuovere quanto ostacolava i piani di invasione dell'Europa, concepiti da Stalin e, nel 1981, a un passo dalla realizzazione.
Breznev intendeva riversare sei milioni di armati sull'Europa, uno tsunami di ferro e fuoco nucleare che in quindici giorni doveva tutto travolgere prima che gli americani potessero inviare i loro rinforzi.
La velocità del piano esige un'invasione alimentata senza interruzione dalle retrovie. La Polonia, base di partenza fondamentale per la conquista dei porti sul Baltico, con le sue folle plaudenti il Papa polacco, certifica che le retrovie polacche si rivolterebbero contro Mosca. Come fare?
Giovanni Paolo II non ha compiuto sessant'anni quando va la prima volta in Polonia, eppure scrive il testamento. Al ritorno, sebbene soffuso dell'affetto dei suoi connazionali, annota: «La Chiesa si trova in un periodo di persecuzione tale, da non essere inferiore a quelle dei primi secoli, anzi li supera per il grado della spietatezza e dell'odio». Egli sa che è in moto una macchina per annientarlo.
Dal 1977, Ali Agca è al soldo dei servizi sovietici. Lo inviano in Siria ad addestrarsi nei campi palestinesi di George Habbash. È inserito nei Lupi grigi, la cui facciata nazista non impedisce di rinfrescare l'addestramento in un campo dell'Olp, nel 1978, quando Karol Wojtyla diventa Papa.
Agca uccide Abdi Ipekci, direttore del quotidiano Milliyet nel febbraio 1979. Condannato a morte, è arrestato il 25 giugno 1979, a due settimane dal ritorno del Papa da Varsavia. Poco dopo evade dal carcere di massima sicurezza di Kartel Maltepe e minaccia platealmente di uccidere il Papa, in visita in Turchia. La sequenza «omicidio Ipekci-evasione-Lupi grigi-minaccia al Papa» attaglia su Agca una casacca nazista e islamica, ma è al soldo di Mosca attraverso Sergei Antonov.
Il caso di costui esplode l'8 novembre 1982, diciotto mesi dopo l'attentato. Il giudice Ilario Martella mostra ad Agca 56 foto. Egli fra 56 foto riconosce tre agenti bulgari, fra i quali Antonov.
La Stasi, servizio segreto della Germania comunista, cerca di cancellare le tracce bulgare subito dopo l'attentato, quando non si parla ancora di «pista bulgara». Antonov incarcerato, la Stasi confonde le acque spedendo messaggi firmati dai «Lupi grigi» e costituisce un gruppo internazionale di giuristi per caldeggiare la scarcerazione di Antonov, che infine è assolto per insufficienza di prove. Lo rintracciamo un paio di anni fa, in un modesto appartamento di Sofia, sorvegliato a vista da Marin Petkov, già noto in Italia come il magistrato bulgaro che aveva minacciato Ali Agca in carcere, rivelatosi ora presidente dell'Associazione degli ex ufficiali di intelligence e autore di un grottesco libro che attribuisce l'attentato, neanche a dirlo, alla Cia. Ma Antonov era accanto ad Agca nel momento in cui spara.
C'è una curiosità in più.

Ali Agca, vestito di bianco e completamente rasato, anche nelle sue parti intime, intendeva forse compiere un omicidio rituale islamico? Un ulteriore depistaggio o il segno di un'alleanza ante litteram fra servizi segreti russi e musulmani?
Ogni 13 maggio qualcuno ricorda tutto questo e approfondisce, a dispetto della velenosa e tenace disinformazione. Il nervosismo è palpabile negli ambienti italiani che tennero il sacco al killer sovietico, turco solo per il passaporto.
milignoti@yahoo.it

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