Il vento della crisi piega ancora le Borse

Diffusi i verbali Fed del 7 agosto: l’inflazione resta il rischio maggiore

da Milano

Per alcuni operatori, si è trattato di un semplice «calo tecnico», tutto sommato fisiologico dopo i recuperi della scorsa settimana. Ma i ribassi, anche superiori al 2%, che ieri hanno scandito come tante note dissonanti la seduta delle Borse europee (bruciati 122 miliardi di euro di capitalizzazione) e quella di Wall Street sembrano anche indicare il ritorno a una certa volatilità, riconducibile alla crisi dei mutui subprime e, più in generale, all’incertezza sia sulle prospettive economiche, sia sulle strategie di politica monetaria da parte delle Banche centrali.
Spiegava ieri un analista che questa variabilità nell’andamento dei listini è da mettere in conto «finché non si conoscerà l’impatto della crisi dei mutui Usa nelle trimestrali che le banche diffonderanno a settembre». Un trend altalenante, con picchi verso il basso e verso l’alto, non è però sintomo della normalizzazione invocata dalla Bce e dalla Federal Reserve, anche se Lorenzo Bini-Smaghi, membro del comitato esecutivo dell’Eurotower, ha parlato ieri di «situazione dei mercati in via di miglioramento».
Il problema dei mercati è la difficoltà a metabolizzare le cattive notizie. Che in tempi come questi non mancano quasi mai. Nella caduta dei listini di ieri, con Parigi e Londra in flessione di circa il 2%, Francoforte dello 0,83% e Milano dell’1,71%, cui ha fatto seguito qualche ora più tardi la frenata di New York (meno 2,1% il Dow Jones, meno 2,37% il Nasdaq), la diffusione di alcune bad news ha avuto infatti un ruolo determinante.
Agli investitori, per esempio, non è piaciuto il crollo della fiducia dei consumatori Usa in agosto (a 105 punti contro i precedenti 111,9), scesa ai minimi da un anno anche a causa dell’indebolimento delle condizioni del mercato del lavoro. Seppure un calo della consumer confidence non si traduca automaticamente in una discesa delle spese private, l’indicazione non è benevola. Tanto più se si considera l’estendersi della crisi subprime al comparto delle carte di credito. Nei primi 6 mesi, le società emittenti hanno dovuto cancellare il 4,58% dei crediti perché irrecuperabili, con un aumento del 30% rispetto allo stesso periodo del 2006. Non è un buon segno per i consumi (da cui dipendono i due terzi del Pil Usa), così come è chiaro sintomo di ripresa ancora lontana la flessione accusata dai prezzi delle case (meno 3,2% nel secondo trimestre), il peggior risultato degli ultimi 20 anni.
Neppure la pubblicazione delle minute della riunione Fed del 7 agosto scorso ha cambiato l’umore del mercato.

Nei verbali della banca guidata da Ben Bernanke si sottolinea come l’inflazione rimanga la preoccupazione principale, ma anche che le condizioni del mercato del credito «potrebbero richiedere una risposta sul piano della politica monetaria». Una risposta che la Fed potrebbe aver già dato con la riduzione di mezzo punto del tasso di sconto.

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