da Milano
Per alcuni operatori, si è trattato di un semplice «calo tecnico», tutto sommato fisiologico dopo i recuperi della scorsa settimana. Ma i ribassi, anche superiori al 2%, che ieri hanno scandito come tante note dissonanti la seduta delle Borse europee (bruciati 122 miliardi di euro di capitalizzazione) e quella di Wall Street sembrano anche indicare il ritorno a una certa volatilità, riconducibile alla crisi dei mutui subprime e, più in generale, allincertezza sia sulle prospettive economiche, sia sulle strategie di politica monetaria da parte delle Banche centrali.
Spiegava ieri un analista che questa variabilità nellandamento dei listini è da mettere in conto «finché non si conoscerà limpatto della crisi dei mutui Usa nelle trimestrali che le banche diffonderanno a settembre». Un trend altalenante, con picchi verso il basso e verso lalto, non è però sintomo della normalizzazione invocata dalla Bce e dalla Federal Reserve, anche se Lorenzo Bini-Smaghi, membro del comitato esecutivo dellEurotower, ha parlato ieri di «situazione dei mercati in via di miglioramento».
Il problema dei mercati è la difficoltà a metabolizzare le cattive notizie. Che in tempi come questi non mancano quasi mai. Nella caduta dei listini di ieri, con Parigi e Londra in flessione di circa il 2%, Francoforte dello 0,83% e Milano dell1,71%, cui ha fatto seguito qualche ora più tardi la frenata di New York (meno 2,1% il Dow Jones, meno 2,37% il Nasdaq), la diffusione di alcune bad news ha avuto infatti un ruolo determinante.
Agli investitori, per esempio, non è piaciuto il crollo della fiducia dei consumatori Usa in agosto (a 105 punti contro i precedenti 111,9), scesa ai minimi da un anno anche a causa dellindebolimento delle condizioni del mercato del lavoro. Seppure un calo della consumer confidence non si traduca automaticamente in una discesa delle spese private, lindicazione non è benevola. Tanto più se si considera lestendersi della crisi subprime al comparto delle carte di credito. Nei primi 6 mesi, le società emittenti hanno dovuto cancellare il 4,58% dei crediti perché irrecuperabili, con un aumento del 30% rispetto allo stesso periodo del 2006. Non è un buon segno per i consumi (da cui dipendono i due terzi del Pil Usa), così come è chiaro sintomo di ripresa ancora lontana la flessione accusata dai prezzi delle case (meno 3,2% nel secondo trimestre), il peggior risultato degli ultimi 20 anni.
Neppure la pubblicazione delle minute della riunione Fed del 7 agosto scorso ha cambiato lumore del mercato.
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