Per capire la gravità delle parole del sindaco Marta Vincenzi è sufficiente sostituire il termine «foibe» con «shoah». La sua frase suonerebbe esattamente così: «La shoah va ricordata nel contesto delle guerre, dopo gli anni di vero e proprio razzismo etnico portato avanti dal fascismo». E ancora: «Il silenzio sulla shoah non è stato dovuto alla scelta di una parte sola, ma esito della real politik post dopoguerra ». Cosa sarebbe accaduto se un sindaco avesse detto che lo sterminio degli ebrei va contestualizzato? O che finora non se n’è parlato troppo perché tutti - non una parte ma tutti hanno ritenuto che la ragion di stato dovesse prevalere?
Ma Marta Vincenzi ha parlato delle foibe, cioè dello sterminio di innocenti italiani ad opera dei compagni comunisti di Tito. E allora va tutto bene. Si può anche dire che se in fondo istriani, giuliani e dalmati sono stati trucidati, c’è da tener presenti le ragioni degli assassini, perché vittime del fascismo. La voglia di riscrivere la storia è senza pudore, visto che la stessa sindaco spiega in consiglio comunale che «il governo italiano per troppo tempo mise sotto silenzio la tragedia delle foibe, così come i crimini dell’esercito fascista».
Intanto, semmai la colpa è sempre del «governo». Impersonale, lontano, qualunquista. Come se Marta Vincenzi e i suoi compagni predecessori si fossero invece sempre battuti per denunciare al mondo la barbarie titina. E poi la vergogna delle foibe sarebbe stata tenuta nascosta «così come i crimini dell’esercito fascista»? Ma dove ha vissuto Marta Vincenzi finora? Dove è riuscita a rifugiarsi per non sentire mai denunciare gli orrori del nazi-fascismo? Persino nell’ultima frase in cui prova a superare gli steccati ideologici («Una causa è tanto più giusta quando riconosce che l’errore può arrivare anche dalle proprie file, il Comune di Genova non dimentica e si inchina alle vittime delle foibe e ai loro familiari»), Marta Vincenzi non riesce proprio a pronunciare parole di sdegno per la crudeltà umana dei carnefici comunisti.
Anzi, in questo caso, meglio dire di non guardare ai colori politici: «Non dobbiamo accogliere un’ottica intimidatoria, ma dobbiamo sottrarre la memoria al manicheismo, uscendo dallo schema amico-nemico che ha caratterizzato il secolo breve». Allora, cara sindaca, inizi lei a non fare propaganda con queste cose, visto che è riuscita a dire che il Giorno del Ricordo «è stato istituito dal presidente Giorgio Napolitano».
La legge è del marzo 2004, quando all’elezione del suo compagno Napolitano, uno di quelli che anziché denunciare i crimini titini esultava perché in Ungheria «l’Urss portava la pace», mancavano ancora due anni. Ma a forza di riscrivere la storia, qualcuno finisce per crederci.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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