Roma

Vigna Jacobini, pena ridotta per gli imputati

Patricia Tagliaferri

L’assoluzione sollecitata all’apertura del processo dal procuratore generale Franco Serrao non c’è stata, ma la pena ai due responsabili della tipografia Stilgraff accusati di omicidio colposo plurimo e disastro colposo per il crollo del palazzo di via Vigna Jacobini è stata comunque ridotta. E questo non è piaciuto ai familiari delle 27 persone che la notte del 16 dicembre del 1998 morirono sotto le macerie.
«È una sentenza estremamente mite e contenuta: per 27 morti due anni di condanna sono veramente pochi, anche se è importante il fatto che i giudici hanno almeno riconosciuto la colpevolezza degli imputati», commenta Roberto Anconetani, presidente dell’associazione vittime via Vigna Jacobini, al termine dell’udienza che ha lasciato con l’amaro in bocca i due imprenditori sotto accusa, che dopo le richieste del Pg avevano forse sperato nell’assoluzione, e le parti civili, che invece auspicavano se non altro la conferma della sentenza di primo grado a due anni e otto mesi di reclusione. Lo sconto di otto mesi, invece, ha deluso un po’ tutti. L’ulteriore perizia tecnica sollecitata dal procuratore Serrao (in subordine all’assoluzione) per chiarire i dubbi sulle effettive cause del crollo è stata negata dalla Corte d’appello: per i giudici, quanto già agli atti era più che sufficiente per ribadire la piena responsabilità di Mario Capobianchi e Vincenzo Mudanò, colpevoli dunque di aver creato una vera e propria impresa industriale in un edificio residenziale, che non ha retto le vibrazioni ripetute e il carico dei macchinari. L’impostazione del giudice di primo grado, insomma, ha retto, nonostante il procuratore generale avesse cercato di dimostrare che l’attività della tipografia, che si trovava in un sotterraneo del palazzo, non avrebbe potuto provocare il cedimento dello stabile. Per i difensori degli imputati, Franco Coppi e Francesco Misiani, anche loro naturalmente favorevoli all’assoluzione dei due amministratori della Stilgraff, lo stabile di via di Vigna Jacobili crollò perché era stato costruito circa 40 anni prima in violazione della normativa vigente all’epoca. Gli avvocati avevano anche puntato il dito contro la «fragilità» e il sottodimensionamento dei pilastri, sottolineando quanto fosse scadente il calcestruzzo, costituito da una percentuale eccessiva di acqua rispetto al cemento.
Due anni di reclusione, dunque, per Capobianchi e Mudanò, con la sospensione condizionale della pena e la non menzione sul certificato penale. Confermata, però, l’entità del risarcimento: 860mila euro destinati alle parti lese sotto forma di provvisionale. Al momento della lettura della sentenza molti parenti delle vittime non hanno ben capito gli effetti della decisione dei giudici e si sono catapultati dai rispettivi avvocati per farsi spiegare cosa fosse accaduto. «Questa sentenza è una presa in giro - ha detto Stefania Romani, che quel giorno vide morire un fratello e la madre - si dice che la giustizia deve essere vicina ai cittadini, ma mi sembra non sia proprio così. Due anni di condanna li prendi per un furto. Ma oggi a noi cosa resta? Gli imputati sono liberi, e questo non è per nulla giusto». Massimo De Michelis nel crollo del palazzo di via Vigna Jacobini perse un fratello, la cognata e due nipoti «e anche mia madre - dice - morì di dolore dopo tre anni». Lui definisce la sentenza «la classica decisione che vuole accontentare un po’ tutti ma che invece alla fine non fa altro che scontentare tutti. La gravità di cosa è successo quel giorno è del tutto evidente. Due anni e otto mesi di condanna in primo grado erano già pochi allora, figuriamoci la sentenza a due anni di oggi. Unica nostra consolazione è che è stata almeno riconosciuta la colpevolezza degli imputati».

Mario Capobianchi, il solo degli imputati presente in aula alla lettura della sentenza, non ha voluto rilasciare alcuna dichiarazione.

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