Roma

Al Villaggio Olimpico statue colpite dal cancro del bronzo

I gruppi scultorei degli anni Trenta di soggetto sportivo vittime dell’incuria e dell’inquinamento L’esperto: «Per salvarle bisogna intervenire subito»

Valeria Arnaldi

Una sorta di eritema che deturpa le statue dalla cima alla base con bolle più o meno grandi. È il segno, visibile a occhio nudo, che denuncia la presenza del cosiddetto «cancro del bronzo» sui gruppi statuari del Villaggio Olimpico. Un segnale d’allarme che sembra aver messo irrimediabilmente a rischio le opere. «Questa patologia è detta cancro - spiega Luigi Renzi del Consorzio Europeo di Ricerca e Restauro - perché è un’acuta forma di corrosione difficile da arrestare. Occorre intervenire d’urgenza. Il cancro, infatti, continua a corrodere i materiali anche dopo aver eliminato gli agenti che lo hanno causato. Bisogna isolare il fenomeno: si può fare mantenendo le eruzioni o asportandole. Quest’ultima operazione comporta l’abrasione delle superfici, che, a intervento finito, rimangono inevitabilmente segnate da diverse concavità. In ogni caso, non è possibile riportarle allo stato originale». Quelle del cancro sono le ultime in ordine di tempo, ma non le uniche «cicatrici» presenti sulle statue. I gruppi sono percorsi da fitte rigature di verderame, che in più punti si condensa a formare macchie bluastre. Ci sono sfaldamenti, abrasioni e segni di avanzata corrosione dall’apparenza di bruciature color ruggine. Infine, punti bianchi che, come una muffa, compaiono dove ristagna l’acqua piovana, creando incrostazioni di calcare. «Sono processi consequenziali - spiega Renzi -. Il verderame comincia a mangiare la patina superficiale dell’opera. Con il tempo, si solidifica creando croste blu. Il potere corrosivo aumenta progressivamente fino a provocare spaccature e crepe». Le cause di tale degrado sarebbero da imputare alla violenza degli agenti atmosferici, al forte inquinamento, ma, soprattutto, all’incuria. E proprio quest’ultima sembra essere la malattia che affligge le statue del Villaggio Olimpico sin dalla loro creazione. Opera di Amleto Cataldi, i quattro gruppi che rappresentano ognuno due atleti impegnati in gare di corsa, lotta, calcio e pugilato, furono posti, nel 1930, sulla facciata dello Stadio Torino, in via Flaminia. Nel ’58 quando la struttura fu demolita, delle statue si persero le tracce. A cercarle furono, tre anni dopo, i residenti del Villaggio capeggiati dal giornalista Giulio Tirincanti. Finite le olimpiadi per le quali era stato costruito, il quartiere fu privato dell’unico ornamento: una copia della Lupa capitolina. Riunitisi in quello che essi stessi definirono «comitato di salute pubblica», i residenti chiesero a Coni e Comune la restituzione dell’opera, che si rivelò, però, essere stata affittata dal Campidoglio solo per la durata delle competizioni. I residenti chiesero allora uno dei manufatti conservati nei magazzini comunali. Dopo una lunga e infruttuosa ricerca, Tirincanti suggerì la consegna delle quattro statue dell’ex-stadio. Proposta accettata, a patto, ovviamente, di trovarle. Dopo alcuni mesi, furono rinvenute, spezzate in più punti, in diversi magazzini, «sotto immensi cumuli di detriti e d’immondizia - come riportava Tirincanti in un mini-dossier - I demolitori del vecchio stadio, ignoranti e del tutto irrispettosi delle cose dell’arte, invece di imbragare con cura i quattro gruppi e calarli a terra con mezzi adeguati, si erano limitati a legarli con delle funi che, tirate da camion, li avevano fatti precipitare dall’altezza di ben quattordici metri». La conferma della storia si riceve dalle statue: crepe e abrasioni delineano i contorni dei danni e del successivo - e unico - restauro. In un passaggio di testimone, a dare voce alla protesta dei residenti, oggi, è Rossana Tirincanti: «Il merito di aver salvato queste opere dall’oblio va a mio padre. Anche se non avrebbe certo immaginato di condannarle a una lenta e impietosa agonia. Ci siamo rivolti al Comune più volte, ma invano. Il sindaco è spesso all’Auditorium, sa in che condizioni si trovi la zona ma non fa nulla. Abito al Villaggio Olimpico dal ’60. Era un quartiere modello, ora è abbandonato, privo perfino di servizi essenziali: marciapiedi rotti, giardini usati come parcheggi e scivoli per disabili occupati dalle auto costringono a rischiose gimcana o, se si hanno difficoltà di movimento, a rimanere in casa. E le statue: fa male vederle andare in rovina.

Roma sta perdendo un pezzo della sua storia».

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