Regista coreano, non papero disneyano, Kim Ki-duk è unicona da Festival. Quello di Cannes ha presentato ieri il suo Soom («Respiro»), ma in una sala piccola, quindi ha lasciato fuori un po' di giornalisti. Cose che succedono nella dimensione, parallela alla realtà, della cinefilia. Questa attenzione si spiega con l'alone di premio che circonda il regista. In Italia egli ha avuto più fortuna con il film recente meno interessante, Ferro 3, mentre è sconosciuto per il magnifico Bad Guy, passato per il Festival di Berlino. Accomuna ogni storia di Kim Ki-duk la propensione per delinquenti e falliti e la repulsione per borghesi e ricchi. La dichiara con violenza: la prima volta che in Italia si parlò di lui fu per L'isola, presentato alla Mostra di Venezia, dove c'era la nota scena del giovanotto preso all'amo, dettaglio cruento che ahimè distolse l'attenzione dei lettori dal valore del film. È perciò comprensibile che i devoti del cinema «alternativo» seguano Kim Ki-duk. Ma anche gli altri dovrebbero occuparsene, perché - nella coerenza tematica - Kim gira sempre film abbastanza diversi.
Non ci sarebbe da stupirsi se domenica prossima Soom fosse tra i titoli premiati, con il suo amour fou, tra un condannato a morte (Chang Chen) per lassassinio di moglie e figli, deciso a suicidarsi, e una borghese in vena devasione (Zia) dal marito infedele (Jung-Woo Ha). È una preparazione alla fine, non il racconto di un nuovo inizio. Volendo ci si commuove. \- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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