Una violinista sexy rovina l’incontro tra i ministri degli Esteri di Usa e Iran

Un vestito scollato spinge Mottaki a lasciare il tavolo della Rice. D’Alema chiede il ritiro delle truppe straniere

Alla fine della conferenza internazionale di Sharm el Sheik sul povero Irak il ministro degli Esteri italiano, Massimo D’Alema, ha suonato la ritirata. «Penso che tutti ritengano che la presenza militare straniera debba cessare il prima possibile in Irak» ha detto il capo della Farnesina schierandosi di fatto sulla linea dell’Iran. Poi ha aggiunto, bontà sua, che «il problema è crearne le condizioni, ovviamente tenendo conto che quelli che devono effettivamente decidere sono il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e il governo iracheno».
A D’Alema ha risposto indirettamente il ministro degli Esteri iracheno Hoyshar Zebari, con un articolo pubblicato sul quotidiano Washington Post che lancia un appello: «Il mondo non ci deve abbandonare». Zebari scrive che «chi chiede un rapido ritiro può pensare che sia la soluzione meno dolorosa, ma i suoi benefici sarebbero di breve durata. Il destino della regione e del mondo è legato al nostro. Lasciare un Irak in pezzi in Medio Oriente offrirà un rifugio al terrorismo internazionale e un'eredità di caos alle future generazioni».
La linea D’Alema sembra rispecchiare quella dell’Iran, che ieri per bocca del suo ministro degli Esteri, Manouchehr Mottaki, ha attaccato gli Usa. «Il primo problema che sta affrontando l'Irak è la mancanza di sicurezza ed il caos - ha affermato - e ciò rappresenta un terreno fertile per il terrorismo. Il secondo problema è la continuazione dell'occupazione straniera». Occorre cambiare, secondo Mottaki: «Anche il popolo statunitense si è reso conto che le politiche d'occupazione sono sbagliate». Peccato che secondo il Pentagono il mese di aprile abbia segnato l’apice dell’utilizzo di trappole esplosive sulle strade irachene provenienti dall’Iran, ben sessantacinque.
L’agognato incontro fra Mottaki ed il segretario di Stato americano Condoleezza Rice non è avvenuto, ma americani ed iraniani si sono visti a livello di ambasciatori a Bagdad assieme ad una delegazione di esperti. Un primo passo offuscato dal tragicomico siparietto accaduto alla cena dell’altro ieri sera. L’abile diplomazia egiziana aveva previsto di far sedere Mottaki di fronte alla Rice. Una volta entrato nella sala del ricevimento il ministro iraniano ha esordito con un «Salam aleikum», la pace sia con te, e la Rice avrebbe risposto «salve», aggiungendo «il mio inglese è migliore del suo arabo». Il ministro degli Esteri egiziano, Ahmed Abdoul Gheit, rivolto a Mottaki ha detto: «Vogliamo riscaldare un po' l'atmosfera». La risposta dell’uomo di Teheran è stata pronta: «In Russia mangiano il gelato in inverno perché è più caldo della temperatura esterna», riferendosi alla diversa percezione del «calore». L’avvicinamento sembrava ben avviato, ma quando Mottaki ha notato la disposizione dei tavoli e la vicinanza di una violoncellista russa con un vestito sgargiante e troppo discinto per la sua rigida interpretazione della morale islamica se ne è andato.


Superato lo sconcerto iniziale, il padrone di casa, che è uomo di mondo ed è stato ambasciatore egiziano a Roma, ha preso l’incidente con filosofia ordinando che fosse portato il vino ai commensali che lo gradivano. Pare che siano stati molti i bicchieri riempiti agli illustri ospiti, tra i quali erano numerosi i musulmani, evidentemente meno radicali del ministro degli Esteri di Teheran.

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