Il governo Prodi merita di cadere. Non c'è dubbio. Abbondano i sarcasmi anche a sinistra sul suk prodiano che si contraddice in continuazione. Ma è utile farlo cadere nel giro di pochi giorni o è meglio rimandare l'affondo a primavera? C'è chi pare volere approfittare del «suk» per acquisire un qualche obiettivo: magari un pezzettino di federalismo. Paiono più manovre tese a disarticolare la maggioranza che operazioni politiche.
Il carattere della Finanziaria 2007 odiosamente anti ceti medi (qualche volta nei toni ancor più che nelle proposte) fa sì che ogni forza con base nel lavoro autonomo o nell'impresa non possa sognarsi di appoggiarla. Vi è, poi, chi dice che far cadere il governo ora è rischioso per i rapporti con l'Unione Europea. E che non sarebbe neanche male che un po' di lavoro sporco di risanamento fosse fatto da un governo di sinistra. Vi è in questi argomenti tra lo strategico (rapporti con l'Europa) e il tattico (convenienza del centrodestra) del buon senso. Controbilanciato, però, dai rischi che una pur breve tenuta del governo pone. Anche verso l'Europa l'atteggiamento di Romano Prodi e Tommaso Padoa-Schioppa di sostanziale autocommissariamento produce guasti strategici. È evidente che l'Unione Europea debba essere l'orizzonte strategico dell'Italia, ma non di un'Italia commissariata. Accettare lidea che non si faccia la crisi perché c'è l'Europa significa assumere un punto di vista subalterno che poi sconteremo negli anni. Certo, vi è un problema di rapporto con Bruxelles e anche per questo la prima tappa di un immediato futuro probabilmente sarà un governo tecnico o istituzionale per l'emergenza: ma provocare la crisi subito è necessario anche per reagire a rischi di commissariamento.
Vi è, poi, la spinta all'odio sociale che il governo Prodi alimenta: dopo avere dato dei ladri ai lavoratori autonomi, dei criminali a chi abusa dei pronto soccorso, il virus dell'odio sociale si espande. Anche una persona saggia come Antonio Catricalà dell'Antitrust è arrivato in tv a dire che bisogna bloccare i «farmaci firmati» per impedire ai medici i viaggetti di promozione delle case farmaceutiche. Un tempo nel Pci, con tutti i suoi terribili vizi, s'insegnava a non contrapporre mai gli operai ai bottegai perché ne derivavano lacerazioni profonde della società con gravi rischi per la democrazia. Negli ex comunisti resistono tante deformazioni dei vecchi tempi, dall'aspirazione egemonica alla demonizzazione dell'avversario, ma quel prezioso insegnamento è andato disperso. E i rischi di disgregazione crescono. Così come quelli di slittamenti di potere manovrati da Prodi per definire nuovi assetti nell'economia. Fallita parzialmente l'operazione Telecom Italia, si continua su altri filoni.
Un acuto osservatore come Fabio Tamburini sul Sole 24 Ore segnalava come i Benetton per difendersi stessero cercando protezioni politiche e suggeriva che forse in questo intento li avrebbe aiutati un vecchio amico come Corrado Passera. Che non è un politico ma l'amministratore delegato di Banca Intesa. Personalmente sono contrario a parlare di rischi di regime in una società come quella italiana integrata all'Europa. Ma la possibilità che si costituiscano ampi blocchi di potere (si pensi a una realtà come la Campania) tali da coordinare banche, giornali e influenza politica, è nelle cose.
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