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Visco: "L’Italia è in declino"

Il viceministro: "il Paese da anni cresce meno della media europea". Bersani: "Non riusciamo a decidere". L'Ue attacca la finanziaria: "Insufficiente, servono altre misure per ridurre il deficit"

Visco: "L’Italia è in declino"

Roma - Doveva essere un incontro sulla «cultura economica del Partito democratico». È finito per essere un j’accuse al governo, alla classe dirigente della sinistra e del futuro Partito democratico, alla classe politica. Cosa singolare che il j’accuse arrivi da esponenti come Walter Veltroni, Luigi Spaventa, Pierluigi Bersani e Vincenzo Visco.
La prima freccia la scaglia il viceministro dell’Economia. «L’Italia è un Paese chiaramente in declino, oberato da un debito che non è soltanto quello pubblico, ma anche quello previdenziale: insieme assorbono il 20% del Pil; in altri Paesi il peso è del 15%». E il Fondo monetario rivede al ribasso le previsioni di crescita dell’Italia per il 2008: sarà dell’1,3% contro una stima del governo dell’1,5%.
Veltroni prova a scherzare: «Gli economisti non sono mai allegri di loro; quelli di sinistra, poi, sono una miscela micidiale». E Visco, anche in risposta alle punzecchiature di Spaventa, replica: «Non è vero che sono antipatico». Ma quello del sindaco di Roma è solo un diversivo: «Penso che la crisi del Paese sia molto profonda. Siamo arrivati - prosegue - nel punto più preoccupante di avvitamento». E le cause di questo avvitamento le fa risalire alle mancate decisioni. «Mi fa paura - dice - una democrazia che non decide». E se non riesce a decidere è perché i partiti hanno appesantito le istituzioni: «Hanno traslato il loro peso sopra».

Premette che non vuol fare la retorica sull’«antipolitica», ma osserva che in Italia c’è un «sistema abnorme della politica. Noi abbiamo un Parlamento fatto da mille persone. Se queste mille persone non decidono, il cittadino ha ragione a chiedersi cosa ci stanno a fare». E anche perché ha una striminzita maggioranza, il governo invia sempre meno provvedimenti in Parlamento. «Noi del Pd dobbiamo dare risposte immediate: sulla sicurezza, sulla Tav, sul debito. Siamo stati troppo tempo a palleggiare ’sta roba. Dobbiamo avviare una terapia d’urto: il Paese è fermo, non c’è fiducia».

E lancia la sua proposta sulla riduzione del debito: «Non basta l’avanzo primario - dice - serve una manovra straordinaria. Dobbiamo valorizzare il nostro attivo patrimoniale per ridurre il debito». Più tardi spiega che dalla manovra straordinaria dovrebbero essere esclusi i beni culturali; ma «per esempio, potrebbero essere cedute a privati le caserme inutilizzate». I beni patrimoniali non strumentali e inutilizzati, secondo la contabilità europea, possono andare a riduzione del debito; gli altri, invece, a contenimento del deficit.

«E comunque - sottolinea - dopo il 14 ottobre si dovrà avviare una discussione sull’assetto del nostro Paese. Funzionano solo le democrazie che decidono». Come a dire, ora la nostra non lo fa. E chi deve decidere è l’inquilino di Palazzo Chigi.
E a riprova dell’incapacità decisionale a ogni livello, Pierluigi Bersani denuncia: «Non riesco a capire perché l’Emilia Romagna (la sua Regione, ndr) blocchi la realizzazione di un rigassificatore solo per l’opposizione dell’Ordine dei medici». E un po’ per prendere le distanze da Padoa-Schioppa, spiega che «l’onere del debito è tale che non potrai mai avere servizi in funzione delle tasse che paghi. Un problema particolarmente avvertito al Nord».

In precedenza, Luigi Spaventa, economista vicino alla sinistra, aveva definito il Pd «una dubbia sceneggiata con una classe dirigente che invece di puntare al cambiamento, ha nostalgia per la classe dirigente post bellica».

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