Antonio Ruzzo
Una volata che non finisce più, lavversario che crolla a un centimetro dalla sua spalla quando si accorge di essere battuto, labbraccio col suo allenatore di sempre e poi la sua famiglia e la bandiera del Kenia a coprirsi le spalle. È tutta qui, in una veloce sequenza di immagini, la vittoria di Paul Tergat a New York poche settimane fa. Un trionfo anche «italiano» come lo ha definito lui qualche giorno dopo. Un trionfo di un atleta che per Gabriele Rosa, il suo tecnico, è tra i più grandi di sempre nelle corse di lunga distanza. Tergat ha vinto la maratona «commerciale» più importante al mondo (gli americani dicono così ma è davvero difficile smentirli) ma già guarda alla prossima sfida visto che, come ha annunciato il quotidiano di Nairobi «People day», il 26 aprile è dato tra i partenti della 42 chilometri di Londra con tutti i migliori del mondo. Pronta rivincita con il sudafricano Hendrick Ramaala battuto nello sprint di Central Park ma anche una gara «stellare» visto che i due dovranno fare i conti con l'etiope Haile Gebreselassie, come avrebbe anticipato Dave Bedford, direttore della maratona. Ci sarà da divertirsi dunque.
Ma torniamo a Tergat. «Un centimetro o un chilometro, un secondo o un minuto non fanno differenza: una vittoria è una vittoria, il distacco non è importante» spiega. Sarà, ma quel finale spalla a spalla con Raamala ha entusiasmato anche chi quella domenica sera stava distrattamente guardando la tv e ha fatto tornare alla mente una gara indimenticabile del 2003 a Berlino quando Tergat distrusse il record mondiale di Khalid Khannouchi correndo in 2h04'55 con uno sprint vincente su Sammy Korir.
Anche a New York sono bastati pochi centimetri per vincere al debutto in una maratona bella e impegnativa e portare anche un po di Italia alla conquista della Grande Mela. Dal 1992, Tergat si allena infatti con Gabriele Rosa tra i vigneti della Franciacorta, nel Bresciano. «Non sarei mai diventato l'atleta che sono - spiega - se non fossi stato seguito da Rosa. Quando sono arrivato qui, ho capito cosa voleva dire allenarsi e dove potevo arrivare. Ho iniziato a credere in me e a ritenere possibili certe cose e anche la vittoria di New York è nata così: ho tenuto con la testa perché ero sì pronto per un lungo sprint ma alla fine è solo una questione psicologica. Per questo una citazione particolare va al mio allenatore che 14 anni fa mi ha portato nella vostra regione facendomi diventare prima uomo poi atleta e campione. La sua famiglia e la gente della Franciacorta mi hanno adottato come un figlio. Ed è per questo che la vittoria di New York non ha solo le tinte della bandiera keniana ma anche di quella del vostro Paese». Tergat a gennaio compirà 37 anni, ma non ha nessuna intenzione di smettere, nonostante i suoi impegni come ambasciatore del World Food Program e della fondazione che porta il suo nome siano sempre più frequenti.
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