La prima vittoria di Hitler sull'Austria è un gran romanzo e spiega perfino la crisi dei migranti

Alta finanza e industria appoggiarono nazismo e razzismo. Oggi sono per l'immigrazione e accusano di xenofobia chiunque obietti. Chiediamoci perché...

La prima vittoria di Hitler sull'Austria è un gran romanzo e spiega perfino la crisi dei migranti

Come si perde la libertà? Prima un po' alla volta, una piccola concessione dopo l'altra. E infine tutta assieme, in un ultimo micidiale colpo. Il massimo è convincere il nemico che la libertà sia un fardello troppo pesante da sopportare. Il nemico, convinto, depone il fardello ai piedi dell'invasore, affinché lo possa calpestare. La mossa riuscì a Hitler con gli austriaci. Prima umiliò il dittatore cattolico Schuschnigg, poi prese per la gola il vecchio presidente Miklas. Inglesi e francesi intanto fingevano di non vedere. Peggio. Una parte di inglesi era convinta che Hitler fosse il giusto argine al comunismo e perorava la sua causa. Torniamo in Austria. Quando tutti i posti di potere furono occupati da nazisti, Hitler decise che era tempo di annettere la natia Austria alla Germania. Non un colpo di fucile fu sparato. I nazisti finsero di essere chiamati dal presidente del Consiglio, la marionetta Arthur Seyss-Inquart. L'11 marzo 1938, i panzer entrarono in Austria e si trovarono davanti a un guaio serio: la mancanza di carburante. Erano attesi a Vienna da una folla in adorazione degli invasori, che aveva scambiato per liberatori. L'attesa fu lunga, a causa dell'ingorgo nelle primaverili ma ancora gelide campagne austriache. Oggi vediamo i cinegiornali dell'epoca. L'armata di Hitler pare invincibile e inarrestabile. Ma quel giorno era tutt'altro che rodata. La teoria del generale Guderian, il blitzkrieg, l'attacco a sorpresa, era appunto ancora una teoria. Hitler si infuriò.

I viennesi dunque accolsero a braccia aperte i nazisti. Il plebiscito di aprile vide il 99,75 per cento degli austriaci scegliere l'Annessione. Ma in quel periodo ci fu anche un picco di suicidi. Difficile sia un caso. Qualcuno, osservando gli ebrei presi a calci dai passanti, aveva già capito cosa sarebbe successo: e decise di non partecipare. Sul palcoscenico della storia, sfilano i politici. La volgarità di Göring, la passione di Ribbentrop per il tennis, i discorsi da psicopatico di Hitler. Ma ci sono anche personaggi minori eppure importanti come il boia di Norimberga, tale John C. Woods. E che dire di Schuschnigg? Dopo sette anni di carcere, si trasferirà negli Stati Uniti dove condurrà una vita da cittadino modello. Alle loro spalle, come tragiche comparse, ci sono i popoli trascinati nel massacro che pose fine alla grandezza dell'Europa.

La storia dell'Annessione è raccontata da Éric Vuillard nel romanzo L'ordine del giorno (edizioni e/o, pagg. 138, euro 14) vincitore del prestigioso Premio Goncourt nel 2017. Vuillard sceglie una strada difficile: romanzare la storia senza inventare e senza un personaggio principale. Ogni quadro diventa dunque un ammonimento e lo spunto per una riflessione. Un modo di procedere vicino a quello di Antonio Scurati in M. Il figlio del secolo (Bompiani), il bestseller dedicato alla vita di Benito Mussolini. I due libri testimoniano una nuova sensibilità verso la storia.

La quantità di problemi affrontati da L'ordine del giorno, nonostante sia stringato, è infinita. Scegliamo dunque di affrontarne uno in particolare perché Vuillard lo pone in apertura e chiusura del romanzo. All'inizio del libro, vediamo una raccolta fondi orchestrata da Göring e Hitler in persona. Sono presenti ventiquattro facoltosi industriali tedeschi. Rappresentano marchi come BASF, Bayer, Agfa, Opel, IG Farben, Siemens, Allianz, Krupp. Sono gli stessi che oggi ci forniscono tutto quanto occorre nella quotidianità, dal tostapane all'automobile. Alla fine del romanzo, il lettore viene a sapere come le aziende abbiano approfittato del Terzo Reich per ottenere schiavi da sfruttare senza pietà. La Krupp aveva «noleggiato deportati da Buchenwald, Flossenbürg, Ravensbrück, Sachsenhausen, Auschwitz». Non era un caso isolato. «La BMW si serviva a Dachau, Papenburg» e altri lager. L'Agfa si riforniva di forza lavoro a Dachau. La Shell a Neunegamme. E così via: l'elenco degli schiavisti è impressionante. Dunque industria e alta finanza si schierarono compatte per il nazismo e il razzismo (utilissimo, abbiamo visto, per produrre schiavi).

Infine una nostra considerazione. Veniamo all'attualità. L'industria e l'alta finanza sostengono l'immigrazione, accusando di razzismo chiunque osi obiettare. Una inversione di rotta completa. Chiediamoci perché. Le risposte potrebbero non piacerci. Forse non è tutta filantropia. Forse qualcuno scommette sulla manodopera africana.

È clandestina, abbondante, disposta a tutto, sottopagata e soprattutto priva delle garanzie ottenute dai lavoratori europei. Forse qualcuno spera di far saltare il diritto del lavoro, scatenando la guerra tra poveri. Forse sui barconi dall'Africa ci sono i nuovi schiavi.

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