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Vittoria, ma se ne vadano tutti

In tutti questi anni di lavoro al Giornale, mai mi era capitato di voler così bene al mio amico Marco Lombardo com'è capitato ieri, quando mi ha chiamato al cellulare dandomi per certa la notizia che aspettavo già da domenica sera. Ma che dico, che avrei voluto ricevere già dopo il primo capitombolo in campionato (le sconfitte d'ottobre con Palermo e Napoli, do you remember?). Ovvero: Ranieri esonerato. Ancora adesso stento a crederci, considerato il tempo di gestazione impiegato dalla dirigenza bianconera per maturare questa decisione. Una settimana fa non erano bastate le 10 ore di concistoro del Cda, e stavano per non bastare nemmeno le 8 ore di riunione plenaria di ieri se non fosse arrivata dal Lingotto la telefonata di Johnn Elkann: si volta pagina, squadra affidata a Ciro Ferrara. In poche parole, «Ranieri, go home!» come appunto recitava la mia prima T-shirt del dissenso indossata a Telelombardia. Personalmente, la ritengo una battaglia vinta, seppur in ritardo. Ma meglio tardi che mai.
Ma ieri pomeriggio, fossi stato nei panni dell'Ingegnere, sarei andato oltre: senza nemmeno avvisare, mi sarei presentato in sede e avrei cacciato l'intero gruppo di indecisionisti presente alla riunione. Perché se bisogna arrivare a mettere a repentaglio persino un posto in Champions praticamente già assicurato per capire che non si poteva andare oltre, significa davvero capirci davvero poco. Di calcio, in primis, ma anche di pura e semplice gestione aziendale. A questo punto, proprio in nome di quello «stile Juve» tirato spesso in ballo, mi aspetterei da parte di Cobolli e Blanc una signorile consegna del proprio mandato. Si faccia tabula rasa e si riparta con l'unico progetto possibile per una squadra come la Juve: vincere.

A partire da Siena.

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