La storia pare tratta da un romanzo di appendice: la doppia vita della tata che di giorno accudisce i figli di famiglie benestanti di Chicago e che appena ha del tempo libero scappa per strada con la macchina fotografica al collo. Non è finzione: Vivian Maier (1926-2009) è una riservata bambinaia che tra gli anni Cinquanta e Settanta ha scattato oltre centocinquantamila foto, girato filmini in super 8 o in 16 millimetri, scritto appunti, cartoline e documenti vari.
Della doppia vita di tata Vivian nessuno avrebbe mai saputo nulla se John Maloof, giovane scrittore e giornalista americano, non si fosse trovato in difficoltà. Maloof stava scrivendo un libro storico su Chicago e aveva bisogno di materiale fotografico per illustrare il volume: con pochi soldi in tasca, meno di 400 dollari, andò a una battuta d'asta, una di quelle in cui si mettono in vendita gli oggetti pignorati dal fisco. Si aggiudicò un baule corposo con dentro parecchia documentazione sulla città e scartoffie varie. Si trattava di materiale confiscato per il mancato pagamento dell'affitto di un piccolo appartamento, ma di fatto era il più grande tesoro fotografico nascosto del secondo Novecento. A Maloof basta un'occhiata per capire che il progetto del suo libro sarebbe passato presto in secondo piano: quel baule era una miniera di fotografie in bianco e nero e a colori, miriadi di pellicole non sviluppate e poi stampe e filmini di ogni genere. Un archivio ricchissimo che documentava la vita del tempo a Chicago, Los Angeles, New York. Erano i tesori di una bambinaia che viaggiava al seguito delle famiglie presso cui lavorava: era il tesoro di Vivian Maier.
Viene scoperto nel 2007, un periodo difficile per tata Vivian. La donna non aveva molte disponibilità economiche e parte degli oggetti di casa - tra cui il baule con le foto - fu confiscato: l'anno della fortunata asta, Vivian cadde per strada su una lastra di ghiaccio e riportò una grave ferita alla testa che ne compromise per sempre la lucidità. Non seppe mai che le sue fotografie sarebbero state messe in mostra nei musei. Per la prima volta arrivano ora in Italia al Man di Nuoro, in una esposizione curata da Anne Morin e realizzata in collaborazione con diChroma Photography: in mostra ci saranno centoventi foto catturate tra i primi anni Cinquanta e la fine dei Sessanta, una decina di filmati e una selezione di immagini a colori degli anni Sessanta (dal 10 luglio al 18 ottobre, www.museoman.it).
A giudicare dal numero degli scatti trovati, tata Vivian deve aver passato la vita a fotografare (chissà, spesso con i bambini appresso): oggi è considerata la prima street-photographer e la prima autrice di selfie della storia. È anche una Instagrammer ante litteram , perché amava ritrarre, all'improvviso, ciò che le si parava davanti: centinaia di sconosciuti per strada sono i soggetti inconsapevoli delle sue storie in pellicola. In questa vorace ansia di documentare il mondo, Vivian Maier negli anni Cinquanta e Sessanta mantiene uno sguardo ombelicale, ché la macchina Rolleiflex si appoggia sul ventre e solo nel decennio successivo, con la Leica, la sua visione si alza all'altezza degli occhi. I lavori, che paiono istantanee contemporanee, spesso sghembe, e la sua vicenda personale hanno reso la tata-fotografa un personaggio unico della fotografia. Non immaginiamocela però come una zitella acida: «Aveva un intelletto fine e viaggiò molto da sola, fatto impressionante per una donna dell'epoca», racconta John Maloof, che oggi cura tutto l'archivio Maier ed è impegnato a divulgarne il lavoro. In giro per gli States o ai Caraibi, Vivian portava sempre con sé la macchina fotografica: «Chi l'ha conosciuta sa quanto fosse gelosa dei suoi scatti: non li espose mai, non li mostrò neppure alle amiche. In molti l'hanno dipinta come una donna riservata, ma non timida. Era forte, caparbia, indipendente».
Per tata Vivian la fotografia di certo non era un hobby, ma un'ossessione ed è davvero incredibile la casualità con cui i risultati della sua maniacale dedizione non siano finiti al macero. Oggi i lavori della «tata francese» (la madre aveva origini alsaziane) sono accostati ai maestri del reportage di strada, da Alfred Eisenstaedt a Robert Frank.
In molti compare la sua firma: il volto, capelli corti e neri, e la silhouette magra, superano la soglia della rappresentazione, entrano nell'immagine. A volte sono solo un'ombra, un riflesso in una vetrina: ci ricordano chi, mano ferma e occhi spalancati sul mondo, è dietro l'obbiettivo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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