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«Voto sì perché c’è un abisso tra embrioni ed esseri umani»

«Voto sì perché c’è un abisso  tra embrioni ed esseri umani»

Professor Boncinelli, perché è contro la legge 40?
«Secondo me questa legge è, come molte in Italia, un po’ pasticciata. Ha degli aspetti accettabili, altri meno e altri ancora per niente».
Quali gli aspetti inaccettabili?
«Per esempio il divieto della cosiddetta “diagnosi pre-impianto”, cioè la possibilità di vedere se il futuro bambino è geneticamente malato prima ancora dell’impianto nell’utero materno, quando l’embrione è fatto soltanto di otto cellule. Questa possibilità è una grandissima conquista scientifica: rinunciarci mi sembra assurdo».
Quelle otto cellule sono una vita?
«Quegli embrioni sono una vita, anche se non tutti sono destinati ad andare fino in fondo. Perché di quelli che partono solo il 15-20 per cento arriva. Il problema, invece, è stabilire se queste cellule formano un organismo, un essere umano».
Però lei, in alcuni articoli, la liquida come «una massarella composta di poche cellule».
«Non c’è dubbio che la vita di quel particolare organismo, se arriverà in porto, comincia quando c’è la fusione del gamete maschile, lo spermatozoo, e del gamete femminile, la cellula uovo. Il problema sono le tappe che quell’organismo deve attraversare per arrivare in porto. Chiunque abbia visto quelle cellule può dire che si tratta di cellule dotate di una certa mobilità. Ma tra affermare questo e parlare di un essere umano, sebbene in nuce, c’è un abisso».
Ma perché, secondo lei, quella «massarella» non ha diritti?
«I diritti sono concetti che hanno a che fare con la società e con la legge, quindi un biologo non può parlare di diritto. Può solo dire, caso mai, se quella massa è un individuo o no e questo è possibile nel 15-17 per cento. La questione, tuttavia, è quante fasi deve attraversare prima di arrivare a essere un embrione vero e proprio. Nei mammiferi la parte che darà luogo all’embrione non compare prima del quinto-sesto giorno».
Con la diagnosi pre-impianto si scelgono, tra quelli di cui si dispone, gli embrioni cosiddetti migliori. Che fine fanno quelli malati?
«Non vengono impiantati. In realtà queste otto cellule sono talmente piccole che se ne prende una sola, la si analizza e, se ci sono garanzie circa il fatto che l’embrione è sano, essa viene impiantata. Quelle che non danno queste garanzie vengono buttate, se vogliamo usare questo termine».
Ma non c’è il rischio che questa selezione permetta a qualche scienziato di selezionare una razza o individui migliori?
«La selezione degli individui, storicamente, è sempre stata fatta in maniera molto naturale. In pratica nascevano e morivano. L’analisi di cui parliamo riguarda i concepiti di coppie a rischio di una qualche malattia, non si fa indistintamente su tutti. La risposta è solo: “malattia genetica grave sì, malattia genetica no”».
I sostenitori del «sì» dicono di difendere le coppie che non possono avere figli. È d’accordo?
«Senza farne una malattia, chi soffre del fatto di non avere un figlio è bene che venga aiutato».
In tutti i modi?
«Be’, in tutti i modi è una parola grossa».
Quali sono, allora, le regole che bisogna imporre per fermare questa sperimentazione?
«Di fatto colei che paga di tasca propria le conseguenze, se si insiste troppo, è la donna, la quale viene superstimolata».
Quindi è vero che la donna corre dei rischi, come dicono i sostenitori della legge?
«Semmai la limitazione a soli tre embrioni per volta costringe la donna a fare molti più tentativi; dunque, se la donna si incaponisce ad avere un figlio a tutti i costi, è costretta a provarci più volte e a rischiare di pagare di persona. Ma credo si tratti di una scelta consapevole, spero condivisa dal marito».
Che percentuale di riuscita ha la fecondazione assistita?
«Intorno al 25-30 per cento. In molti casi, purtroppo, c’è poco da fare, ma a volte può succedere che dopo qualche anno le cose diventino più facili».
Secondo i sostenitori del «sì», la legge impedisce alla scienza di trovare soluzioni per malati di patologie degenerative. È davvero così?
«In linea di principio è così. Se parliamo dell’Italia, penso sia un falso problema: non vedo tutto questo fervore di ricerca né tutta questa organizzazione. Se, invece, ci riferiamo al mondo, il non potersi avvalere delle cellule staminali embrionali è un grosso ostacolo e un rallentamento della ricerca».
Quindi lei ritiene che, nonostante le aspettative, non vi sono oggi soluzioni per quelle malattie?
«Al momento no. Però perché non sperare che fra qualche anno anche l’Italia si allinei con le altre nazioni, raggiungendo un livello di ricerca non dico eccelso ma, quanto meno, decente?».
Oggi è possibile produrre staminali senza passare per l’embrione. Non crea meno problemi?
«Gli scienziati sanno che esistono già in commercio delle linee cellulari umane sulle quali lavorare e di cui nessuno parla. Il problema è che evidentemente la gente non si fida molto di queste cellule».
Esistono in commercio nel senso che si possono comprare?
«Si possono comprare e sono una settantina di linee cellulari staminali embrionali umane che girano per i laboratori».
Anche in Italia?
«Io questo non lo posso sapere, perché la gente non te lo viene a dire. Ma il problema delle cellule staminali embrionali è che sono molto instabili, quindi ci vuole un trattamento molto sofisticato. Pensi che per quelle del topo, su cui oggi lavorano tutti, ci sono voluti quindici anni per poterle trattare con una certa confidenza e oggi si fanno cose interessantissime. Quelle umane non vedo perché dovrebbero richiedere meno tempo per essere opportunamente stabilite».
Andrà a votare? Se sì, come?
«Andrò a votare.

Quattro sì».

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