Se ne va con due anni di anticipo Daniel Barenboim. Dal gennaio 2015 smetterà, infatti, i panni di Direttore musicale alla Scala.
Arrivò a Milano nel dicembre 2005, dopo 30 anni di assenza, all'inizio della fase di interregno subentrata al divorzio di Muti con il teatro.
Il ponte Scala-Barenboim si rinforzò con la nomina, per la verità piuttosto vaga, di direttore scaligero, ma si saldò nel 2011 con l'investitura ufficiale a direttore musicale.
Impegnato su più fronti, anzitutto con la Staatsoper di Berlino, Barenboim ha riservato a Milano presenze di rilievo però alternate a momenti di vuoto. Per la stagione al via quest'oggi, lo riavremo alla testa della Filarmonica della Scala, quindi tra marzo e ottobre per tre titoli.
Probabilmente passerà il testimone a Riccardo Chailly, direttore in pectore (la nomina è ufficiosa), che aprirà l'Expo di Milano il primo maggio 2015, con Turandot del congeniale Puccini.
Cresciuto in Israele, ma nato a Buenos Aires (1942) da genitori ebrei, è direttore d'orchestra, ma pure pianista e autore di libri dove le riflessioni musicali sconfinano nella filosofia, e viceversa. È un personaggio - anche mediatico - come pochi altri suoi colleghi.
La cosa di cui va più fiero è la West-Eastern Divan, orchestra che ha fondato nel '99, connubio di musicisti israeliani e palestinesi. Barenboim è l'uomo che a Gerusalemme ruppe un tabù proponendo una pagina di Wagner, compositore associato all'antisemitismo.
In Italia non ha mancato di manifestare, con il suo fare istrionico, le preoccupazioni per il mondo della cultura. In apertura della prima della Scala del 2010, sollevò un polverone leggendo l'articolo nove della nostra Costituzione.
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