Zahra aprì gli occhi sorrise. Vide il sole giocare a rimpiattino tra tende e tinello. Tastò coperte e materasso. Fawaz era già andato, laveva lasciata dormire, era corso al lavoro. Zahra si toccò la guancia. La carezza lieve a due dita, quel buongiorno dolce e vellutato era di Fayez, di suo fratello. Le sue dita continuavano a sfiorarle il viso, lei si stropiccio gli occhi, li piantò nei suoi. Era a fianco del letto, laccarezzava, continuava a fissarla. «Buongiorno fratello mio» disse Zahra, gli strinse la mano con un sorriso. Lui la guardò strano. Tirò via la mano. Disse solo «scusami, scusami ma devo». Zahra non riuscì a dire nulla. Neanche un no affannato, neppure un «ti prego» disperato. Sentì solo la lama infiammargli lo stomaco. Il sangue le schizzò in faccia, le sgorgò dalla gola. Le tolse il fiato. Fayez era in piedi a fianco del letto, le braccia allungate fissava quel rantolio. Arrivò qualcuno, chiamò aiuto. Sullambulanza Zahra ancora viva. Morì un mese dopo. Era febbraio. Il giorno dopo la sua famiglia celebrò lonore salvato, lonore recuperato. È un tabù. Largomento di cui Medioriente e Paesi islamici preferiscono non parlare. Un tabù spietato chiamato omicidio donore. Massacra duecento donne allanno soltanto in Siria, una delle poche nazioni dove il governo ha iniziato, dopo la morte di Zahra ad offrire aiuto e protezioni alle vittime designate. Ma è una goccia in un mare di sangue. Dal Marocco alle zone rurali del Pakistan, dai territori palestinesi allIran lo sterminio di donne prosegue senza freni. Cinquemila cadaveri ogni anno, secondo le stime delle Nazioni Unite, cinquemila fanciulle e ragazzine uccise da padri fratelli e cugini in nome dellonore del clan.
Potrebbe andare così anche a Bushra. Ha 17 anni, vive reclusa in un centro di Damasco gestito da organizzazione governativa per lo «sviluppo femminile». «Vogliono il mio sangue, vogliono il mio corpo» ripete a chi va a trovarla. Si è innamorata di Fadel, ha infranto lordine familiare che le imponeva di sposare un cugino. Era già tutto programmato, ma il giorno del matrimonio Bishra non sè fatta trovare. È fuggita con Fadel, ha tradito lonore della famiglia, ha preferito allonorato cugino il figlio di un clan alawita, un «diverso» proveniente da una minoranza etnica e religiosa. Per la famiglia ha scelto il peggio del peggio e merita quindi di morire. La polizia lha arrestata, il giudice lha riconosciuta colpevole e il ministero dellInterno lha blindata in quel centro dassistenza. Fuori i suoi aspettano di ucciderla. Lei ci parla, promette di esser pronta a riparare sposando il cugino, ma sa di non potersi fidare. La sorella non fa che ripeterglielo al telefono. «Non credere a nessuno, qui hanno giurato di farti fuori. Anche se sposi nostro cugino non sarai al sicuro, dovrai startene lontana, non farti vedere per almeno sei mesi, lasciar sbollire lira».
Bushra sa che ha ragione. Lei, come tutte le altre ragazze, ospiti e prigioniere del centro, conosce la storia di Zahra Ezzo. Il governo ha incominciato a proteggerle dopo il clamore suscitato dalla sua morte. Persino lo sceicco Ahmad Hassoun il Grande Mufti di Damasco ha - per la prima volta - chiesto di aiutare le donne, di salvarle da quellomicidio donore che, ha sentenziato, ha ben poco a che spartire con lIslam. Zahra era anche più innocente di Bushra. Quando aveva solo 15 anni un amico di papà mise gli occhi su di lei, le raccontò della storia di suo padre con unaltra donna. Zahra lo sapeva già. Linfame le spiego che papà rischiava grosso, che se si fosse venuto a sapere la famiglia della madre lo avrebbe fatto fuori assieme allamante. Per salvare papà Zahra accetto il ricatto e firmò la propria condanna. Lamante finì in carcere. Lei venne condannata a morte dal padre padrone che voleva salvare. Finì in quello stesso centro, ma le pressioni della famiglia erano più forti, allora, della protezione dal governo. Zahra silluse di salvarsi sposando Fawaz, accettando lofferta di quel cugino generoso e innamorato pronto a prenderla in moglie. Non aveva fatto i conti con la determinazione del padre e lobbedienza cieca e bestiale del fratello. Fayez, il fratricida, aspettò il matrimonio riparatore, andò a trovarla, visse per tre giorni con lei e il marito. Tutto per risvegliarla quella mattina e affondarle il coltello nella pancia
Dopo quellassassinio, dopo le denunce del governo e del grande Mufti, il centro di Damasco per lassistenza alle ragazze condannate e perseguitate lavora a tutto spiano. Chi ci vive ha subito una condanna per esser fuggita con lamante, essersi prostituita o aver mendicato. Ma accusa e condanna equivalgono alla salvezza, alla protezione dalla vendetta dei clan.
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