Zalone e Aldo, Giovanni e Giacomo: vincono i comici che non usano Silvio

Sembravamo condannati alle battute anti Cav di Littizzetto, Marcoré o Vauro. Invece i film più visti dimostrano che il pubblico preferisce ridere in altro modo

Zalone e Aldo, Giovanni e Giacomo: 
vincono i comici che non usano Silvio

Altro che Fiat. La Cgil ha un problema ben più delicato da risolvere e in breve tempo: ricollocare i comici di sinistra. Tutta colpa di quel «forzista» di uno Zalone e di quei «leghisti» di Aldo, Giovanni e Giacomo che, durante le feste, hanno incassato così tanti euro senza mettere, nei loro film, una sola battuta contro Berlusconi. Neanche un piccolo accenno, chessò, alla sua statura o al lifting, cavallo di battaglia dei monologhi della Gauche che fa ridere (sic). Ma come si permettono questi di rovinare la vita e la carriera di onesti lavoratori della gag preconfezionata antiCavaliere che fino alla vigilia di Natale avevano tirato a campare prendendo di mira i vizi del Premier? E vogliamo parlare di questi italiani che sono accorsi a milioni nelle sale per ridere di situazioni dove di Berlusconi non c’era neanche l’ombra, sia pur più bassa della media? E pensare che il popolo sembrava educato bene dalle trasmissioni, rigorosamente «sputtanaSilvio», dei vari Fazio o Dandini, dalle vignette di Vauro, dai monologhi della Littizzetto e di Luttazzi, da Marcorè e Paolo Rossi (non il bomber), da Grillo e Dario Fo; per non parlare dei film di Sabina Guzzanti, quelli con il chiodo fisso contro il leader del Pdl, che hanno incassato, tutti insieme, quanto Zalone in un paio d’ore di programmazione. Anni e anni di lavoro mirato sulle menti degli italiani, buttati via. Niente da fare, cari compagni comici, «L’è tutto sbagliato, tutto da rifare». E così, li immaginiamo tutti rigorosamente in fila per tre col resto di due negli uffici della Cgil con in mano il curriculum (basta un volonteroso che ne fotocopi uno per tutti essendo simili) e la Repubblica sotto il braccio per fare un po’ di luce sul loro futuro. Non prima di aver preso appuntamento con il professor Crepet per superare psicologicamente la scoperta, pesante come un macigno, che, in Italia, si possa far ridere anche senza citare Berlusconi. I leader della sinistra, allarmati da questa crisi istituzionale che ha colpito i loro cantori, apriranno subito un tavolo delle forze politiche del centro sinistra con l’obiettivo di definire un programma di legislatura condiviso contro la satira non schierata. Idea destinata a naufragare subito davanti allo scoglio del significato di «condiviso», termine sconosciuto tra i partiti di sinistra. Di idee valide, però, ne tireranno fuori molte. Bersani proporrà di fare delle primarie per stabilire chi dovrà riordinare il tavolo; Vendola suggerirà di lanciare un nuovo comico di sinistra, tal Checca Zolone, così con il nome civetta si potranno portare via consensi agli avversari; Veltroni prenderà ferma posizione dicendo che ha ragione Bersani ma anche Vendola; Di Pietro trascorrerà il tempo ad interrogarsi «ma sto Zalone che nel film parla come me mi sta a babbià?»; Fassino tirerà fuori soluzioni brillanti ma qualcuno dovrà prendersi la briga di svegliarlo; Fini - dopo rapida consultazione con la Tulliani - e premettendo che lui comunque non si dimetterà dalla carica di caposcala condominiale, inviterà i comici a trasferirsi a Montecarlo suggerendo loro di prendere di mira il Principe Alberto («li ospito io, non c’è problema. Alla sera ci facciamo tutti una bella spaghettata con la mia Scavolini nuova»); Bocchino, in rappresentanza di se stesso, proporrà di introdurre il legittimo impedimento di proiettare film senza almeno tre freddure antiCav.

Alla fine, saranno tutti concordi nel proporre un referendum tra gli elettori democratici così strutturato: «a) Fanno più ridere i leader della sinistra o i loro comici di riferimento?; b) Fanno più politica i comici di sinistra o i loro leader di partito?». Dall’esito della consultazione si saprà il destino della Dandini, di Luttazzi ma anche (Veltroni docet) del Pd.

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