Il lapsus è tutto in un «siamo» e in un «saremmo» di troppo. È il Tg3 delle 19 di mercoledì 23 novembre. In studio c’è il direttore, Bianca Berlinguer. È il momento dei sondaggi. Cosa segna il termometro dei vari partiti? Sono intenzioni di voto, affidabili quanto basta. Berlinguer comincia a leggere. Dice. Con il Pd «siamo» al 28 per cento. Continua. «Il Pdl è al venticinque ». Va via così, con la Lega, l’Udc, l’Idv, insomma tutti gli altri partiti. Poi passa alle coalizioni. Chi vincerebbe se si votasse oggi?
Ecco la coalizione delle sinistre: Pd, Idv, Sel, Radicali, Verdi e Socialisti. «E qui saremmo al 46 per cento». «Siamo» e «saremmo », la questione insomma è qui. Bianca Berlinguer fa un Tg identitario, le sue simpatie politiche non sono certo nascoste, e in fondo sono le stesse della rete. Il suo cognome è un marchio di garanzia. Non c’è nulla in quei «siamo» e «saremmo» che già non si sappia. Anzi, se si vuole ci può essere anche qualcosa di impersonale in quel plurale maiestatis. La faziosità può essere un segno di onestà intellettuale.
«Caro telespettatore ti dico subito quello che sono». Solo che non tutti quelli che stavano davanti al video hanno gradito il «noi». Il «noi» solo per il Pd e per la sinistra, mentre per gli altri un sano distacco istituzionale, tanto per non sporcarsi le mani. Questi telespettatori si sono fatti una domanda che da sempre gira dalle parti della Rai: «Ma è opportuno che un direttore di un Tg pubblico sia di parte?».
Tutti quelli che hanno lapidato gli editoriali di Minzolini direbbero di no. Non è giusto. Non è opportuno. Minzolini è un venduto, va cacciato, derubricato, messo all’indice.Sono gli stessi che,d’altra parte, considerano il «noi» di Bianca Berlinguer legittimo, un sentimento di appartenenza, un baluardo di resistenza contro la Rai lottizzata dai berlusconiani. Ci si trova così di fronte a un paradosso logico. Gli editoriali «partigiani» di Minzolini sono un sopruso, un arbitrio, un attentato all’onestà, all’autonomia, all’indipendenza del servizio pubblico.
Il «siamo» scappato alla Berlinguer e la linea del Tg3 , che con tutta onestà non nasconde le proprie idee, sono sempre e comunque un baluardo di libertà. Come si esce da questa contraddizione logica? Il modo più diretto è sostenere a gran voce che Minzolini è cattivo e la Berlinguer buona. Non risolve il problema ma viene usato spesso. Chi sceglie questa strada non rischia nulla. Quando il presidente della Rai Garimberti provò a dire che «spesso i lanci fatti dai conduttori del Tg3 non sono obiettivi» la figlia del grande Enrico replicò con tono scandalizzato: «Sono stupefatta». Il comitato di redazione del Tg3 , particolarmente indignato, fece sapere che non ci stava. «Noi sappiamo solo che qui le notizie non vengono nascoste e in questo senso forse il Tg3 rappresenta un problema».
La linea cattivo e buona però non funziona. Il Tg3 è un buon telegiornale, ma non c’è dubbio che la sua identità sia di sinistra. Ci sono ragioni storiche. C’è il suo stesso certificato di nascita. Ma negare che la sua anima non sia di parte è un calcio al buon senso. Il sospetto è che la Rai, per sua natura, non potrà mai essere indipendente dalla politica. La lottizzazione è nel suo Dna. Questo non significa che chi ci lavora sia asino o venduto. Forse semplicemente non dovremmo più scandalizzarci della «partigianeria» e neppure dello spoil system .
I partiti in Rai contano. Magari non è giusto, ma è così.
Dove c’è lo Stato ci sono i partiti, dove ci sono i partiti c’è lottizzazione. Questa è l’amara verità. Ci sarebbe un’altra strada. Bellissima. Onesta. Vendere la Rai. Ma quanti sarebbero d’accordo? E chi se la compra?- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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