Tegucigalpa - Il presidente honduregno deposto Manuel Zelaya ha annunciato stasera che oggi rientrerà in patria, sfidando la minaccia di arresto dei militari golpisti e del presidente Roberto Micheletti e la netta presa di posizione della Chiesa honduregna, che lo ha esortato a stare alla larga dal paese per evitare un "bagno di sangue".
Il governo: "Atterraggio non autorizzato" L'aereo che trasporta il deposto presidente Manuel Zelaya non sarà autorizzato ad atterrare in Honduras: lo ha annunciato Enrique Ortez Colindres, ministro degli Esteri. "Chiunque ci sia a bordo" l'aereo non verrà autorizzato all'atterraggio, ha precisato il ministro.
Appello Zelaya ha lanciato un appello al popolo dell'Honduras perché domani "accompagni il suo ritorno senza violenza". Alla televisione venezuelana Telesur, ha annunciato che arriverà a Tegucigalpa accompagnato da "un gruppo di capi di stato", senza però nominarli. Secondo quanto annunciato in precedenza, si potrebbe trattare di Cristina Kirchner e Rafael Correa. "Ci presenteremo all'aeroporto di Tegucigalpa con vari presidenti e membri della comunità internazionale, e domenica saremo nella capitale grazie alla volontà di Dio e del popolo", ha detto Zelaya. "Chiedo a tutti i contadini, alle donne di casa, ai giovani, agli indigeni e a tutti i gruppi di lavoratori, agli imprenditori e ai politici amici, ai sindaci e ai deputati che mi accompagnino nel mio ritorno in Honduras - ha proseguito chiedendo che nessuno si presenti armato -. Che sia responsabilità dei golpisti la vita di ogni persona e la dignità del popolo dell'Honduras".
Attacco ai "traditori" Zelaya ha definito gli autori del colpo di stato "traditori e giuda che mi hanno baciato la mano per poi colpire con un golpe la democrazia e lo Stato", che non rimarranno impuniti, perché "i tribunali internazionali gli chiederanno i conti per il genocidio del quale si sono resi responsabili con la repressione al popolo e alle libertà".
La Chiesa: non torni, è "inabilitato" Al suo ritorno, oltre alla minaccia di arresto, Zelaya si troverà di fronte anche un nuovo oppositore di peso: la Chiesa cattolica honduregna, che per bocca del cardinale Oscar Andres Rodriguez Maradiaga, arcivescovo di Tegucigalpa e una delle personalità religiose più importanti dell'America Latina, ha giustificato il colpo di stato di domenica scorsa. In un comunicato della Conferenza episcopale honduregna trasmessa in televisione, Maradiaga ha affermato che Zelaya era già "inabilitato" come presidente quando è stato deposto e deportato, per aver "osato proporre la propria rielezione". Gli undici vescovi firmatari della dichiarazione hanno così implicitamente contestato la definizione di "colpo di stato" data agli eventi di domenica scorsa dalle assise internazionali.
Il segretario dell'Osa, José Miguel Insulza ha annunciato che l'Organizzazione potrebbe adottare contro il nuovo governo del Paese centroamericano l'articolo 21 dello statuto, che prevede la sospensione del Paese come membro e sanzioni politiche e economiche. Gli Stati Uniti, dopo la condanna iniziale del golpe, hanno mantenuto un silenzio attendista, ma è probabilmente a Washington che si deciderà il futuro dell'attuale crisi dell'Honduras, che dipende quasi interamente dagli Usa per la sua sopravvivenza.
Manifestazioni contrapposte Nella capitale honduregna, intanto, si sono registrate due imponenti manifestazioni degli opposti schieramenti.
Il corteo dei sostenitori dell'ex presidente è iniziato nei pressi dell'Università: migliaia di indios, contadini, studenti hanno sfilato lungo il bulevar Morazan. Coloro che si oppongono al ritorno di Zelaya sono invece scesi in piazza nei pressi del palazzo presidenziale, dove il presidente Roberto Micheletti ha arringato la folla.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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