Zucchero, festa del blues San Siro diventa un teatro

da Milano
Ma che sorpresa. Mica è Zucchero a iniziare il concerto, ci pensa Gerry Scotti travestito da Zucchero, barba, capelli e cappello identici, quasi non li distingui uno dall’altro. Ed eccolo qui il pubblico di San Siro, seduto in platea in quello che ieri sera è diventato il teatro all’aperto più grande del mondo, che si volta subito ad ascoltare l’annuncio del presentatore truccato (che poi duetterà a sorpresa in Per colpa di chi), capace di assorbire tutta l’attenzione e lasciare che il mattatore arrivi alla chetichella sul palco, proprio come fanno i veri bluesman, senza tanti squilli di trombe.
D’altronde ieri sera è stata una autentica serata blues, capace di capovolgere tutte le aspettative. Era previsto che il pubblico rimanesse tranquillo seduto in platea? Buonanotte. Tempo di ascoltare l’iniziale Iruben me, e le sedie in platea sono immediatamente rimaste vuote, perché la gente si è alzata in piedi creando l’onda tipica dei grandi concerti, che si muove, pulsa, fluttua al ritmo della stessa nota, frenandosi solo sotto il palco e alzando le braccia al cielo. Insomma, un evento grosso così perché non capita spesso di ascoltare musica di questo tipo in arene smisurate come San Siro.
Certo, avevano iniziato il finalista del Cornetto Free Music (Neo), poi i Neri per Caso, il grande Giovanni Allevi e il redivivo Gianluca Grignani. Ma poi è toccato a lui, a Zucchero, e pazienza se come al solito ci saranno battaglie sui numeri: secondo gli organizzatori, lui ha cantato per ventottomila spettatori abbondanti, dei quali circa ottomila erano sul prato e il resto sulle tribune.
Comunque sia, grande musica.
E basta ascoltare Tutti i colori della mia vita e Bacco perbacco per capire che Zucchero ha quella dote innata che risiede nella capacità di essere in sintonia con i suoi ascoltatori. Che volete, lui provoca. Eccita. Consola. E riesce a tirar fuori, canzone dopo canzone, quell’istinto festaiolo che, accidenti, è il nervo di ogni concerto che si rispetti. Perciò in mezz’ora scorrono via la scherzosa Un kilo, poi Amen, Cuba libre, Il volo e la riflessiva Blue, mentre il timido sole se ne andava dietro le tribune e nella tribuna vip Nicoletta Mantovani, la vedova di Luciano Pavarotti, seguiva con gli occhi scintillanti. E così, quando Zucchero ha iniziato a cantare la sua Miserere e sugli schermi è apparso il volto del maestro che duettava virtualmente, lei si è fermata commossa, ricordando i momenti belli del Pavarotti & Friends, il legame forte fra il tenore e il cantante, la liaison dangereuse tra la classica e il blues che negli anni Novanta è stata una delle poche novità della musica italiana.
«Ehilà San Siro» dice Zucchero alla fine di Diamante. Lui, schivo ma caciarone, ieri sera è arrivato sul palco vestito di nero, la frangia schiacciata sotto il cappello nero a tese larghe e ha parlato poco, come fanno tutti i grandi bluesman. Ha suonato. Ha cantato. E durante Così celeste l’atmosfera era quella di un piccolo club, con poche decine di persone sotto il palco invece che decine di migliaia, mentre la band, composta da signori musicisti come David Sancious alle tastiere e Polo Jones al basso, filava via liscia, suonando uno spartito che ormai conosce a memoria e sa mescolare le radici del blues e del rhythm’n’blues con quelle più disinvolte del pop. Insomma, Baila.

San Siro è diventata una enorme discoteca mentre quel pezzo si allungava sul palco e l’assolo di tastiera eccitava tutti con un ritmo irresistibile preso di peso dai night club di Chicago o Detroit.
Quindi, dopo trenta brani, alle 23.30 in punto (la diretta su Italia 1 ha imposto tempi televisivi), Zucchero ha portato a casa il suo San Siro soddisfatto, eccome quanto.

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