C’era la «talpa» in Procura: arrestata una cancelliera

«Ti posso solo consigliare di stare attento. Non ti posso dire nient’altro, però ti dico solo occhio. Basta, non ti dico nient’altro, però questo te lo dico da amica, non dovrei nemmeno dirtelo». La telefonata è del 25 novembre scorso. A parlare è una cancelliera della centrale penale della Procura. Dall’altra parte della linea, un albanese pregiudicato al quale - alla fine - verranno fornite informazioni riservate sulle inchieste che lo riguardano. Una talpa negli uffici giudiziari. Rossella Tecce, 37 anni, è stata arrestata ieri dagli agenti della squadra mobile con le accuse di corruzione, favoreggiamento personale, rivelazione di segreti d’ufficio e accesso abusivo a un sistema informatico, reati che sarebbero stati commessi da luglio a novembre del 2008. Oltre alla donna, altre sei persone sono indagate. Tra queste anche un commercialista, che l’aveva a libro paga: 800 euro al mese per lavorare in nero nel suo studio, e per qualche «incursione» mirata nel Re.Ge., il registro generale delle indagini. Denaro in cambio di notizie sulla «fedina» dei propri clienti. «Una stabile remunerazione - scrive il gip Antonio Corte nell’ordinanza di custodia cautelare con cui vengono disposti i domiciliari per la donna - versata a titolo di corrispettivo per la sistematica disponibilità ad asservire la sua pubblica funzione alle richieste e alle esigenze» del commercialista.
L’indagine - coordinata dal pubblico ministero Antonio Sangermano - era nata attorno a un giro di prostituzione che faceva capo a un albanese poco più che ventenne. Poi, la svolta. Il telefono dello straniero, messo sotto controllo, aveva condotto alla cancelliera, portando alla luce la pericolosa falla che si stava aprendo nel palazzo di giustizia. La Tecce, infatti, aveva fornito all’albanese informazioni riservate sulle indagini in corso. Ma, seguendo il filo delle conversazioni, era emersa la figura del commercialista. Il giudice descrive la cancelliera come una «dipendente pronta, sollecita, zelante nell’evadere tutte le richieste del suo dominus, comprese quelle che presuppongono l’abuso e la strumentalizzazione della pubblica funzione svolta». Di più, l’uomo «è perfettamente consapevole e sicuro di poter contare sulla costante disponibilità» della donna. Così, in un’altra telefonata intercettata dagli investigatori, l’uomo consiglia a un suo conoscente di rivolgersi proprio alla Tecce, «perché questa qui ha veramente una marea di conoscenze da paura». E «sin dall’inizio delle indagini - insiste il gip - la donna mostra di considerare il pubblico ufficio una res propria da usare e piegare alla bisogna per accattivarsi simpatie e disponibilità e per soddisfare richieste e interessi privati».

Tra i quali anche quelli di un agente di polizia di Genova ora indagato, al quale la donna - secondo l’accusa - era riuscita a fornire un falso certificato medico che sarebbe servito a facilitare il trasferimento del poliziotto a Milano. A rilasciarlo, in buona fede, un medico del carcere di San Vittore. «L’ho sentito ora - dice la cancelliera in una telefonata del 15 novembre -, mi ha detto che per il certificato non ci sono problemi».

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