Su richiesta pubblichiamo la rettifica al seguente articolo:
M.G.I.M. srl è uno studio societario, legale e tributario, con sede in via Durini n. 14.
Del tutto falsa risulta la notizia sulla partecipazione nel gruppo M.G.I.M. dell’Avv. Bruno Mafrici.
Difatti, Bruno Mafrici aveva la disponibilità di una stanza, come altri liberi professionisti, all’interno dell’immobile ma questi non è socio della M.G.I.M., Circostanza questa accertata dagli stessi inquirenti
Milano Altro che Umberto Bossi. Il problema della Lega si chiama Gnegnè. Nel giorno in cui le cronache dell’inchiesta «Lega Ladrona» si arrovellano intorno al quesito su «Bossi sapeva o non sapeva?», sulla ribalta dell’indagine che scuote il Carroccio fa irruzione lui: Gnegnè, ovvero Luigi Bonaventura, uomo di ’ndrangheta col grado di «sgarrista» e oggi collaboratore di giustizia. Il pentito viene interrogato ieri nella sede della Dia milanese dai pm di Reggio Calabria che indagano sull’ex tesoriere della Lega, Francesco Belsito. Belsito per i pm calabresi è uomo di cerniera e di confine di questa strana alleanza: i lumbard duri e pur da una parte, i riciclatori della mafia calabrese dall’altra. Tutti insieme a fare affari.
Delle stesse cose, prima di interrogare Gnegnè, i magistrati venuti dalla Calabria avevano parlato l’altro ieri proprio con Belsito. E non è stato un interrogatorio comodo. Non si parlava di irregolarità contabili, di fatture del dentista o dell’idraulico. A Reggio vogliono sapere come mai proprio Belsito sia stato nominato tesoriere della Lega. Come sia stato possibile che lui, in affari con uno pseudoavvocato calabrese come Bruno Mafrici, abbia avuto mano libera nei conti degli adoratori del Dio Po. Quali fossero i suoi veri rapporti con Romolo Girardelli, «l’ammiraglio», il faccendiere genovese indagato e prosciolto per riciclaggio. E soprattutto: cosa ci facesse Belsito in quella sacrestia di affari riservati che è la Mfim, lo studio di commercialisti nel cuore di Milano, dove si appoggiava lo pseudoavvocato Mafrici. Il dettaglio curioso è che lo studio Mfim ha una seconda sede, meno prestigiosa, alle porte di Milano: a Buccinasco, il comune colonizzato per decenni dalla ’ndrangheta. E dove proprio in questi giorni il commissario prefettizio ha dato il via libera alla lottizzazione di Buccinasco Castello, nel cuore del Parco Sud. Dietro chi c’è? Proprio gli uomini dello studio Mfim. Dalla cui sede, secondo la procura di Reggio, partivano in direzione Cipro e Tanzania sia i soldi dei leghisti che quelli dei clan. Scenari cupi. E, per il poco che ne trapela, l’interrogatorio di Gnegnè, il pentito Bonaventura, li ha incupiti ancora di più.
Di fronte a queste fosche ipotesi, il tema «Bossi sapeva o non sapeva» non dovrebbe essere la principale preoccupazione dei nuovi leader del Carroccio. Certo, il diretto interessato appare provato: «Non ne posso più di tutto questo, mi sento abbandonato, non vedo l’ora che finisca questa storia», avrebbe detto Bossi a chi lo ha visto in questi giorni «qui ci va di mezzo la mia famiglia». Bossi, raccontano, «si sente abbandonato». Ma non è dai verbali di Belsito che gli verranno grattacapi. Perché Belsito si è sbilanciato solo fino a un certo punto. Ha detto di avere parlato con Bossi, qualche mese prima di fare l’investimento in Tanzania, della possibilità di mettere a frutto i fondi del partito, senza ricevere dal Senatùr né benedizioni né divieti. Un po’ poco per incriminare Bossi. Più diretta, inevitabilmente, la conoscenza che il padre fondatore aveva dei soldi spesi per la sua salute e per quella dei suoi congiunti, nonchè per altre necessità personali: ma è chiaro che se l’inchiesta sulla Lega si riducesse alle multe del Trota sarebbe, almeno sul piano giudiziario, poca cosa.
Di due che sicuramente sapevano, ma solo degli investimenti in oro e diamanti, Belsito ha invece fatto il nome: e sono a suo dire la vicepresidente del Senato Rosi Mauro (oggi in carico al Gruppo misto, dopo essere stata espulsa dalla Lega) e del senatore Piergiorgio Stiffoni. Si tratta di un investimento che Belsito rivendica, anche perché ha portato nel giro di pochi mesi una plusvalenza considerevole. Ma ieri Stiffoni si indigna ugualmente per essere stato tirato in ballo, nega qualunque rapporto col tesoriere, tanto che «quando Belsito veniva a mangiare al Senato occupava sempre un tavolo diverso dal mio».