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Il governo è appeso a un filo: i 5 dossier che lo fanno tremare

Dallo scandalo sul Mes alla rissa sulla manovra: ormai in maggioranza se le danno per tutto. Il governo è andato in tilt: elezioni anticipate in vista?

Il governo è appeso a un filo: i 5 dossier che lo fanno tremare

"Io non vorrei andare a votare, ma se ci costringono lo faremo. È un peccato ma dobbiamo prenderne atto". Matteo Renzi è stato chiaro: il governo giallorosso ha il 50 per cento delle possibilità di rimanere in piedi. Un modo, neppure troppo velato, per dire a Giuseppe Conte di stare sereno (un'espressione, questa, che ancora oggi fa tremare Enrico Letta) e che l'esecutivo ha buone possibilità di arrivare al panettone. Ma è davvero così? Difficile dirlo. Sicuramente la percentuale di sopravvivenza è infinitamente inferiore rispetto a quella prospettata dal leader di Italia Viva. Quel che è certo che ci sono almeno cinque dossier che stanno mettendo a rischio un governo guidato da un premier, reso debole dalle rocambolesche trame dell'estate scorsa, e sostenuto da una maggioranza sempre più frammentata e litigiosa.

1. La (Mes)sa in scena di Conte

Chiamatelo un po' come volete: Mes o Fondo salva-Stati. Oppure, più correttamente, la polpetta avvelata che l'Europa, tramite Conte, ha provato a servirci. Fatto sta che la riforma del Meccanismo europeo di Stabilità potrebbe aver già registrato la sua prima vittima: lo sposalizio tra Cinque Stelle e Partito democratico. Un matrimonio di convenienza nato unicamente per evitare le urne e sbarrare a Matteo Salvini la strada per Palazzo Chigi. Ma andiamo con ordine e ripercorriamo quella che, più che l'estate dei mojito, passerà alla storia come la stagione degli intrighi. Già perché pare che negli scorsi mesi, oltre a tramare con gli uomini del procuratore generale degli Stati Uniti, William Pelham Barr, Conte si sia impegnato, anche grazie all'appoggio del ministro dell'Economia Giovanni Tria, a portare avanti, tenendo all'oscuro il Parlamento, una riforma profondamente lesiva per il nostro Paese e per i risparmi degli italiani.

Mes
Alberto Bellotto

Ora che Salvini ha fatto esplodere il bubbone, accusando Conte di "alto tradimento" e minacciando di portare il caso al Quirinale, anche Luigi Di Maio ha dovuto ricredersi sull'affidabilità del premier. Lo ha fatto sicuramente perché si è accorto che il Mes rappresenta un problema per l'Italia, ma soprattutto perché ha visto il Movimento 5 Stelle crollare drasticamente nei sondaggi. E così, quando l'avvocato del popolo si è presentato in parlamento per cercare di spiegare il pasticcio fatto l'estate scorsa, gli chiesto di prendere tempo con i burocrati di Bruxelles. "È del tutto inutile fissare la data della firma, se prima non si fanno le modifiche", ha detto il ministro degli Esteri. Una pia illusione, che è stata subito stroncata dal presidente dell'Eurogruppo, Mario Centeno, il quale ha detto che il Mes non può essere modificato. Cosa farà ora Di Maio? Sfiderà il presidente del Consiglio oppure chinerà il capo pur di salvare la poltrona?

2. Sono tasse amare

Decrescita felice o infelici per la crescita? Le teorie economiche del Movimento 5 Stelle sono per lo meno bizzarre e spesso dannose (si veda alla voce Ilva di Taranto). Purtroppo, per noi, trovano spazio in un altro partito che si è sempre fregiato di amare le tasse a tal punto da alzarle non appena ha l'occasione. E così, non appena Di Maio e compagni hanno siglato l'accordo con Nicola Zingaretti, si sono messi a partorire una manovra economica recessiva e l'hanno infarcita di balzelli, imposte e tasse. Ed è proprio su questo che nelle ultime ore si stanno registrando gli scontri più duri all'interno del governo. La maggioranza non è riesce proprio a trovare la quadra. Oltre a mancargli circa mezzo miliardo (euro più euro meno) per riuscire a chiudere il cerchio, i litigiosi alleati non riescono proprio a venirne una sull'impianto complessivo della legge di bilancio. Sentono tutti l'imminenza delle elezioni anticipate e capiscono che questa partita potrebbe segnare (in bene o in male) i prossimi appuntamenti elettorali. Il prossimo 26 gennaio, in occasione del voto in Emilia Romagna, avranno un assaggio del termometro politico del Paese. Certo, giocheranno in casa, in una Regione storicamente rossa, ma dovranno far digerire ai propri elettori una manovra che penalizza il tessuto industriale del territorio, uno scandalo che dal paese di Bibbiano si è allargato a macchia d'olio in tutto il Nord Italia e la riapertura del business dell'immigrazione. Anche qui i sondaggi li danno messi parecchio male. E per questo anziché sciogliere i nodi preferiscono rinviarli a data da destinarsi.

La partita sulla manovra economica è ancora lunga. Si trascinerà fino a fine mese. E avrà sicuramente ripercussioni in Europa. Italia Viva, il partito fondato da Renzi per pilotare dall'esterno questo esecutivo, pretende dagli alleati che vengano rimosse plastic e sugar tax. "A me pare che la situazione si stia ingarbugliando, fossi il presidente del Consiglio e ministri cercherei di trovare soluzioni e lavorare...". Il punto è che i Cinque Stelle non vogliono sentir ragioni. "Dobbiamo avere la costanza di finirla", ha replicato Di Maio ritenendo "sacrosanto" mettere tasse sia sulla plastica sia sullo zucchero. "Dobbiamo avere il coraggio di dire che le aziende devono usare contenitori riciclabili e che gli alimenti con troppo zucchero vanno limitati...". Peccato che molte imprese che investono in entrambi i settori si trovino proprio in Emilia Romagna e il fatto che fra un mese si voti proprio in quella regione ha trasformato la spartizione di un tesoretto da 500 milioni in una battaglia prettamente politica. "Italia Viva ai lavoratori italiani preferiscono le multinazionali delle bibite gassate, come la Coca Cola - lamentano dal Nazareno - non vuole diminuire le tasse sul lavoro ma pensa solo a togliere la sugar tax per favorire società per azioni che non hanno sede neanche in Italia".

3. Una figura di Malta

Per oltre un anno, il Movimento 5 Stelle ha sostenuto la politica dei porti chiusi di Matteo Salvini, condividendone in parte i successi, come la riduzione degli sbarchi, già iniziata, a dir la verità, dopo la "cura" Minniti. Poi, all'improvviso, dopo la caduta del governo, i grillini hanno portato avanti una politica ambigua, facendosi abbindolare dalle sirene dell'Europa. Ma non solo: i dem hanno cercato di attuare una vera e propria inversione a U, mettendo sul piatto la possibilità di cambiare approccio nel rapporto con le ong e il superamento dei decreti sicurezza.

Il nuovo governo gialloverde ha subito riscontrato vistosi problemi nella gestione del tema immigrazione. In primo luogo perché, pochi giorni dopo l’insediamento, si è assistito ad un primo non trascurabile aumento del numero degli sbarchi in Italia. Per superare le difficoltà, dalla Germania è arrivata la prima sponda politica al Conte II. In particolare, Berlino ha promesso iniziative politiche volte a rendere automatica e obbligatoria la redistribuzione dei migranti arrivati in Italia. Il tema è stato discusso nel vertice di Malta lo scorso 23 settembre, ottenendo solo promesse che non sono però mai state mantenute.

Anzi: il documento uscito dal vertice de La Valletta è stato disatteso, la riunione si è rivelata un flop e non ha prodotto alcun effetto significativo. Nonostante questo, il ministro dell’interno Luciana Lamorgese ha rivendicato l’aumento del numero dei migranti redistribuiti nel resto d’Europa, considerandolo come un “primo successo” del vertice maltese. Al contrario, i dati parlano solo di un lieve incremento delle redistribuzioni rispetto al periodo del precedente esecutivo. Nessuna novità, dunque. E i numeri parlano chiaro.

I due nodi in cui la maggioranza rischia costantemente di sfaldarsi riguardano soprattutto i rapporti con le ong e il memorandum con la Libia. Sul primo versante, nonostante dal Viminale siano arrivate costantemente le autorizzazioni alle navi png per entrare in Italia, la sinistra del Pd pretende ulteriori segnali di discontinuità. Sul secondo fronte invece, c’è una consistente parte dell’attuale coalizione di maggioranza che vorrebbe l’interruzione dei rapporti con Libia. Il rinnovo automatico del memorandum con Tripoli, il 2 novembre scorso, ha destato parecchie tensioni interne ai giallorossi, che potrebbero aumentare ulteriormente a gennaio. Questo perché in quel mese si voterà il rifinanziamento delle missioni militari all’estero e sul sostegno alle forze libiche la maggioranza potrebbe spaccarsi. Il M5S vorrebbe proseguire i rapporti con Tripoli, la sinistra del Pd promette invece già ora battaglia. Il rischio di spaccarsi è dunque grosso.

4. Il governo sbanda a sinistra

All'inizio a sostenere il Conte bis avrebbero dovuto essere solo il Movimento 5 Stelle e il Partito democratico. Poi si è aggiunta la terza gamba. La sinistra più dura: un manipolo di parlamentari eletti con Liberi e Uguali che ha dato all'esecutivo una connotazione (se possibile) ancora più sinistra. Infine è arrivato Renzi che, dopo mesi di tentennamenti, ha trappato con i dem e si è creato un partito a suo uso e consumo. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la decisione di escludere i renziani dalla spartizione delle poltrone e adesso Conte si trova una spina nel fianco che può staccargli la spina da un momento all'altro. L'ex premier non solo ha portato via una raffica di parlamentari al segretario Nicola Zingaretti, ma gli ha anche eroso parecchio consenso. Tanto che adesso al Nazareno devono fare i conti anche con Italia Viva, non più soltanto col dilagare del centrodestra.

Se l'alleanza gialloverde si polarizzava su due opposti che a fatica riuscivano a parlarsi, l'intesa giallorossa risulta un'accozzaglia caotica di ideologia contrapposte. Quattro anime contrapposte che guardano solo ai propri interessi, tanto da non essere nemmeno riusciti a stilare un contratto entro cui far marciare l'azione di governo. Nato con l'orizzonte di evitare al centrodestra di andare al potere e soprattutto di dargli la chance di esprimere il prossimo presidente della Repubblica, quando nel 2022 Sergio Mattarella lascerà il Quirinale, adesso tira avanti al solo scopo di non perdere le poltrone che, ancora una volta, si sono accaparrati senza passare dalle elezioni. Il risultato è una sfilza di errori strategici sui tutti i tavoli più importanti che stanno costando caro al nostro Paese. E, anziché lavorare per sistemarli, preferiscono rinviare le scelte di qualche mese per prlungare questa pericolosa agonia.

5. La Cina è vicina (e gli Usa sempre più lontani)

Sono ormai lontani i tempi in cui Donald Trump elogiava il buon "Giuseppi". Certo, a margine del summit della Nato a Londra ha detto che il presidente del Consiglio italiano sta facendo "un lavoro fantastico", eppure solamente qualche giorno fa, il presidente americano aveva minacciato l'Italia, insieme alla Francia, di nuove sanzioni nel caso in cui avesse approvato la Web Tax. Ma non solo: a impensierire Washington sono innanzitutto le aperture del nostro Paese nei confronti della Cina di Xi Jinping. Il memorandum sulla Nuova via della Seta, siglato dal governo gialloverde, rappresenta ancora un vulnus aperto, così come i continui flirt dei grillini (e dell'ala dem legata a Romano Prodi) con Pechino. Gli Usa insomma potrebbero staccare la spina da un momento all'altro, nel caso in cui "Giuseppi" dovesse finire tra le zampe del dragone. Una fine praticamente certa per l'autoproclamato avvocato del popolo.

Ha collaborato Mauro Indelicato

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