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In un anno l'Italia gialloverde ha bruciato 170 miliardi

La ricchezza di famiglie e imprese si è ridotta. E dal voto del marzo 2018 la Borsa ha perso il 5% (20 miliardi)

In un anno l'Italia gialloverde ha bruciato 170 miliardi

Tra minacce di Italexit, aumento dello spread, siluri lanciati contro Bruxelles e Francoforte, manovre di bilancio e decreti legge, un anno di Italia gialloverde ci è costato quasi 170 miliardi.

Secondo la Fondazione Hume, nella settimana che va dal 22 febbraio al 1 marzo gli operatori finanziari italiani hanno recuperato nel complesso circa 21 miliardi rispetto alla settimana precedente. Ma dalle elezioni del 4 marzo 2018 il bilancio resta pesante: le perdite virtuali di Borsa, obbligazioni e titoli di Stato (esclusi quelli detenuti da Banca d'Italia e investitori esteri) sono pari a 67,6 miliardi. Nello stesso periodo Banca d'Italia e investitori esteri detentori di titoli di Stato italiani hanno perso invece (sempre dalle elezioni ad oggi) 43,6 miliardi. Salato anche il prezzo pagato da famiglie e imprese che ci hanno rimesso 50,1 miliardi. Il calcolo, va detto, è effettuato considerando esclusivamente quella parte della ricchezza finanziaria che è più sensibile alle fluttuazioni di mercato, in particolare titoli del debito pubblico, obbligazioni, quote di fondi comuni, azioni e altre partecipazioni (incluse le società non quotate). Sono invece esclusi i depositi (bancari e postali), i titoli emessi da soggetti esteri, e varie altre forme di ricchezza più resistenti alla volatilità. Totale? Più di 160 miliardi.

Dal 5 marzo 2018, giorno dopo le elezioni, l'indice principale di Borsa ovvero il FtseMib, ha ceduto il 5,16% (più di 20 miliardi di capitalizzazione) rispetto al +1,9% di Parigi, al -4% di Francoforte e al -3,3% di Madrid. In realtà, il bilancio andrebbe fatto dal giorno dell'insediamento della squadra di Giuseppe Conte: dal 1 giugno 2018 a venerdì 1° marzo il FtseMib ha lasciato sul terreno il 6,4% rispetto al -3,7% dello spagnolo Ibex e al -3,6% del francese Cac, ma comunque meglio del -8,8% segnato dal Dax di Francoforte.

In parte si tratta di un conto virtuale, considerando che sui mercati azionari il denaro non si «brucia» finché non si esce in perdita dall'investimento e che l'andamento di Piazza Affari è stato condizionato in questi mesi anche da variabili esterne che hanno pesato su tutti i listini europei. Come la Brexit, la guerra commerciale tra Usa e Cina e il rallentamento di Paesi come la Germania dai quali tanto dipende il nostro export. Di certo, il mercato dei tassi sconta un prezzo per il rischio Paese completamente diverso. Basta vedere la curva del debito sovrano italiano rispetto a quella degli altri: siamo l'unico Paese dove sono saliti.

Alle stime della Fondazione Hume, si possono inoltre aggiungere altri 10 miliardi costati allo Stato per l'aumento dello spread. Il Giornale è infatti andato a confrontare il riepilogo dei rendimenti medi dei titoli di Stato (Bot, Btp e Ctz) nelle aste dell'ultimo anno con quelli del 2017 e moltiplicando la differenza per la durata di ogni singola emissione: solo il Btp a 10 anni, per fare un esempio, è costato 1,4 miliardi in più.

Il differenziale tra Btp e Bund non si è mosso dopo le elezioni del 4 marzo ed è rimasto abbastanza stabile. Il 15 maggio viaggiavamo ancora attorno ai 129 punti base. Quella stessa sera, però, viene pubblicata una bozza (poi smentita) del Contratto di governo, che tra le tante voci contempla indirettamente l'opzione di uscita dalla moneta unica e direttamente la richiesta di cancellare 250 miliardi di debito italiano in mano alla Bce. E si scatena la tempesta: il giorno dopo, il 16 maggio, lo spread schizza a 148 punti per arrivare a un passo dai 300 punti il 29 maggio dopo i dubbi del Quirinale sull'ipotesi di Paolo Savona al ministero dell'Economia.

In questi mesi (ieri lo spread ha chiuso a 257 punti) è salito il costo della raccolta obbligazionaria per le banche italiane. Ovvero il prezzo della liquidità necessaria agli istituti che è la base per determinare l'interesse sui prestiti a famiglie e imprese.

Se sale il primo, aumenta anche il secondo.

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