"Cat person" è letteratura, non #MeToo

Pubblicate in Italia le short story (già di culto) di Kristen Roupenian

L'11 dicembre 2017 un racconto di settemila parole firmato da un'ignota autrice americana di nome Kristen Roupenian viene postato online dal New Yorker e in pochi giorni diventa virale. Anzi, «il racconto online più virale di sempre». Il racconto in questione è Cat Person e ora arriva in Italia pubblicato da Einaudi (trad. di Balmelli, Mennella, Pannofino; pagg. 256, euro 17,50), in una raccolta che porta lo stesso titolo e merita di essere ripreso e segnalato. Non solo perché quando Cat Person arriva in rete «spacca», al punto che una settimana dopo si scatena un'asta per aggiudicarsi la raccolta firmata Roupenian, asta vinta dall'editore Simon&Schuster che offre un milione e 300mila dollari. Non solo perché la Hbo ci sta sviluppando una serie tv. Non solo perché la Roupenian ha pure piazzato una sceneggiatura horror ad A24, lo studio indipendente che ha prodotto il film da Oscar Moonlight. Ma perché Cat Person non era un video. Non era un meme. Non era un tweet e nemmeno narrativa pop. Quel racconto, sulla carta, è lungo circa 24 pagine ed è benissimo scritto, è «letteratura» a tutti gli effetti. Come mai allora la rete che crediamo superficiale e incolta lo ha condiviso come se non ci fosse un domani?

Tutta colpa dello zeitgeist, dicono alcuni. Cat Person narra di Margot, studentessa di college, e Robert, 34enne. Si mandano messaggi per settimane. Finalmente decidono di vedersi, ma va malissimo: fanno sesso anche se Margot non vorrebbe e lei gli scrive che non vuole più vederlo. Robert si trasforma in uno stalker ossessivo fino all'insulto e «Troia» è la sua ultima parola. Scritto nell'aprile 2017, quando Cat Person viene pubblicato sembra sia stato scritto apposta per alimentare il fuoco del #MeToo e dello scandalo Weinstein: «Avevo un professore che diceva che il lavoro dello scrittore non consiste nel reagire alla cronaca, ma nel rendersi impermeabile ad essa, nell'essere senza pelle», ha dichiarato la Roupenian al Financial Times. «E in quei giorni io mi sentivo letteralmente avvelenata dalle news. Stavano saltando i nervi a tutti. Credo sia quello che ha dato forma all'atmosfera minacciosa della storia».

Ma il conto non torna: la Roupenian - 38 anni, prima di scrivere faceva la volontaria in Kenya e pareva destinata a una carriera in medicina non ha surfato l'umore giustizialista, non ha scritto un pedante racconto neofemminista né una parodia cinica del maschio aggressivo. I personaggi sono «tradizionali», in stile Macchia umana di Philip Roth più che distopia di genere del tipo lanciato da Margareth Atwood. I contorni del conflitto sono sfumati, il sesso è consensuale ma orribile e fa star male lo stesso, lei è a disagio, lui si illude. Non è stupro, non è molestia. È malinteso sommato a rancore.

Non è un caso che gli altri racconti della raccolta non si sgancino mai dalla quotidianità, ma la deformino e abbiano tutti un coté horror in cui eros e thanatos si incontrano a metà strada, dannando i protagonisti in fissazioni a volte estreme, da Mordere, in cui i morsi vengono dati davvero, per ossessione, da una protagonista piena di scrupoli a Ragazzaccio,

rabbiosa e ipnotica storia di brutalizzazione sessuale di un amico da parte di una coppia. Alla fine di ogni racconto è così difficile attribuire colpe in modo definitivo che ci si sente più inquieti e confusi che arrabbiati.

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