Lo 007 indagato per mafia: il signor Franco non esiste

«Ovviamente non sono io il famigerato agente segreto deviato chiamato “signor Franco”, (non so neanche se esista davvero) oppure “Carlo” e non ho la “faccia da mostro”. Nonostante ciò apprendo dai giornali di essere indagato nell’inchiesta sulle stragi in quanto riconosciuto in foto dai pentiti Spatuzza e Ciancimino. Per l’ennesima volta vi spiego come stanno le cose visto che la verità, sul mio conto, è già consegnata nei processi dove sono stato prosciolto e in quelli, per diffamazione, che ho vinto».
È rivolto ad alcuni colleghi e amici che gli esprimono solidarietà lo sfogo del funzionario dell’Aisi, ex Sisde, Lorenzo Narracci, ex vicecapocentro a Palermo, il presunto 007 infedele che stando ad alcune ricostruzioni mediatico-giudiziarie avrebbe fatto da tramite fra Cosa nostra e lo Stato. Sono tre, anzi quattro, le precisazioni che fa ai suoi interlocutori per disintegrare le «nuove verità» su Falcone e Borsellino. La prima riguarda il pentito Spatuzza che inizialmente afferma di avere visto, nel garage dove si stava allestendo l’autobomba per via d’Amelio, una persona sconosciuta. Ma che la vide solo per un attimo perché poi abbassò lo sguardo. Dopodiché, messo di fronte alle fotografie degli 007, ha riconosciuto Narracci. «Allora, dovete sapere che io divento vicecapo del Sisde a Palermo nel ’91, e divento di conseguenza un volto notissimo per magistrati, poliziotti, carabinieri, per tutti coloro con i quali mi raffronto. A marzo ’92 inizia la strategia stragista con l’omicidio Lima, poi maggio c’è l’attentato a Falcone, quindi Borsellino e Ignazio Salvo. Bene: in pochi mesi sarei riuscito nell’impresa di conquistare la fiducia dei vertici di Cosa nostra e di fare da raccordo fra Stato e mafia riuscendo persino a collocarmi nel garage con l’autobomba? Ma non scherziamo, su. E poi c’è una cosa che non capisco - continua nel suo sfogo agli amici - ci sarebbe un agente segreto deviato, cioè io, che organizza le stragi, e poi esisterebbe un altro agente segreto deviato, con la faccia bruciata, che tratta per bloccarle? C’era uno Stato che trattava e uno che andava in senso opposto?». E ancora. «È mai possibile che uno come Spatuzza veda una persona estranea a Cosa nostra in garage, ma la veda solo per un attimo, di sfuggita, abbassando subito lo sguardo, senza informarsi con i compari su chi diavolo sia quell’intruso, e poi, dopo 18 anni, lo riconosce con sicurezza in fotografia?».
La seconda puntualizzazione Narracci la ricollega al fatto che a ogni ricorrenza delle stragi si tira fuori la storia di un bigliettino, con su scritto il suo numero di telefono «da portare in assistenza», rinvenuto sulla collinetta di Capaci dove Brusca azionò il telecomando della bomba. «Su questa storia - sbotta nel suo ragionamento - ho fatto tante querele, e le ho vinte tutte, perché come ho dimostrato al processo quel bigliettino è stato trovato dalla Scientifica (che l’ha repertato) lungo la strada sventrata dal tritolo e non sul monte. Negli anni, però, quel bigliettino ha camminato fino ad arrivare su su, nella collina degli esecutori della strage. La verità è che quel biglietto lo ha perso molto probabilmente un agente del Sisde quando accompagnò dei tecnici venuti da Roma per i sopralluoghi sul viadotto di Capaci. Lo aveva ricevuto da un altro agente a cui mi ero rivolto perché il cellulare che avevo ricevuto da Roma non funzionava. L’agente che lo ha perso a Capaci venne contattato dal collega perché credo avesse il suocero che aveva un’assistenza Sip. L’agente - ha precisato Narracci ai colleghi - ha confermato a verbale che quel biglietto ce l’aveva lui. È tutto documentato, provato, ma si continua a scrivere il contrario». Terzo. Si dice che Narracci è l’uomo delle sinistre coincidenze. Perché oltre al biglietto di Capaci c’è la storia dell’autobomba in via Fauro, a Maurizio Costanzo, esplosa sotto casa dello 007. «Sono sfortunato, sì. Ma ragionate: vi sembra normale che uno organizza un attentato sotto casa? Eppure, c’è chi lo ha ipotizzato ipotizzando che la mia casa era una base coperta». Quarto: qualcuno è arrivato a sospettare che Narracci si fosse precostituito un alibi per via D’Amelio andando in barca, e che alcune telefonate successive alla bomba ricostruite dal pentito Genchi smonterebbero il suo alibi e quello di Bruno Contrada che era in barca con lui (ci fu un ufficiale dei carabinieri che fece aprire un’indagine parallela sostenendo d’aver visto Contrada in via d’Amelio pochi secondi dopo la strage). «Eravamo in barca - conclude Narracci - una decine di persone, ufficiali di polizia, carabinieri, amici. A un certo punto arriva la telefonata della figlia di certo Valentino, dice che c’è stata una forte esplosione, escludo che abbia parlato di Borsellino.

Io cerco di mettermi in contatto con l’ufficio, ci riesco con fatica ma i miei dicono solo che s’era sentita un’esplosione, che non si capiva ancora niente. Quando arrivo al porto con la barca, vado con un agente ancora scosso a capire cos’era successo. Come si fa a dire che le telefonate dopo la bomba sono la dimostrazione che ero al corrente della strage?».

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